sabato 15 febbraio 2014

Il tunnel - Parte seconda



Qui trovate la prima parte del mio racconto “Il tunnel”, per cui non mi dilungo in chiacchiere e vi lascio liberi di leggere.

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Il 9 agosto, il bombardiere B29 Superfortress si preparava alla partenza, con il carico di Fat Man già a bordo. Il maggiore Charles Sweeney aveva ordini precisi, che stava per eseguire non senza remore: ormai conosceva le conseguenze, gli bastava vedere la televisione, cosa che aveva fatto sempre meno negli ultimi giorni.
Radunò l’equipaggio e fece le solite domande. Molti volti erano tirati, si vedeva che come lui avevano mangiato e dormito poco. Non le migliori condizioni per la delicata operazione che si apprestavano a concludere, ma come avrebbero potuto affrontare quella mattina in condizioni ottimali? Per fortuna individuò un paio di elementi più decisi: in patria i giapponesi non erano ben visti e, anzi, ultimamente rappresentavano una minaccia pressante. Avrebbe puntato su di loro, se ce ne fosse stato bisogno, per concludere al meglio la missione.
Ebbe anche tempo per un moto d’orgoglio nei confronti dei suoi uomini, che stavano svolgendo i compiti senza errori. Si ripromise che, una volta lasciatosi quella vicenda alle spalle, avrebbe fatto di tutto pur di assicurargli un futuro tranquillo.
Per quanto riguardava lui, avrebbe volentieri annullato l’operazione anche a costo di essere ucciso, ma in quel caso la morte sarebbe stato l’ultimo problema di cui preoccuparsi. Erano tutti pedine e vittime, non meno dei giapponesi già colpiti così duramente.
 
Tsutomu Yamaguchi si era ripreso in maniera impressionante, e il direttivo, presidente in testa, aveva organizzato una riunione per quella mattina. Non poteva mancare. Con le fasciature ancora in vista, entrò nello stabilimento, diretto alla sala riunioni. Fu una lunghissima camminata nei corridoi: tutti i colleghi lo fermavano, per una (delicata, date le ustioni) pacca sulla spalla, scambiare due parole o solo un sorriso per stemperare la tensione.
In altri contesti, si sarebbe sentito un eroe, ma non voleva esserlo. Voleva anzi che la smettessero di guardarlo così, come un fenomeno da baraccone. Nonostante l’affetto, leggeva in fondo a tutti quegli occhi la voglia di incontrarlo, di incontrare colui che tre giorni prima si era trovato sotto un fungo atomico.
A un tratto si fermò, la gola secca. E se anche i supervisori avessero fatto così? Non credeva di riuscire a sopportarlo.
Bussò alla porta della sala del presidente, mentre i suoi colleghi si dileguavano come per magia.
 
Il bombardiere BOCKSCAR prese il volo e il maggiore Charles Sweeney la parola: «Facciamo in fretta. Tutti ai vostri posti.»
«Maggiore, temo che il cielo su Kokura sia nuvoloso» disse uno dei più giovani, addetto al radar, con il volto concentrato.
«Quando saremo sulla città vedremo. Per ora seguiamo le direttive primarie.» In altri contesti, il ragazzo sarebbe andato incontro a dure conseguenze per il suo timore e l’avventatezza, ma quelli non erano contesti normali, quindi andava bene così. E poi su di lui poteva puntare: era uno dei pochi a essere pienamente convinti della bontà della missione. Gli sarebbe tornato utile.
La recluta comunque aveva ragione: una volta arrivati a Kokura capirono che non potevano sganciare lì la bomba, il cielo era completamente coperto. Avevano atteso anche troppo, giravano inutilmente da diversi minuti sulla città. Sweeney si voltò verso il giovane che aveva parlato poco prima, rendendosi conto che, escluse le poche frasi per aiutare il lavoro del pilota, nessuno aveva aperto bocca. Il ragazzo, concentrato, diede previsioni meteorologiche poco incoraggianti. La scelta toccava al maggiore, che parlò brevemente in radio per confermare i dubbi. Fece un paio di domande all’addetto ai radar che, pur sorpreso nell’essere interpellato, non si scompose e gli diede preziosi consigli. Ora toccava davvero al maggiore.
Pensa, stupido, pensa, si ripeteva mentre decideva il da farsi, un occhio al segnalatore del carburante.
«Non c’è tempo per aspettare, andiamo al bersaglio secondario.» Quello che non disse fu che non sapeva cosa avrebbero fatto se, una volta arrivati, il tempo fosse stato anche lì nuvoloso. Non c’era abbastanza carburante per il piano C.
 
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Anche per questa volta ci fermiamo. Non vedete l’ora di sapere come finisce? Non dovete far altro che cliccare qui.