Negli ultimi giorni mi sono trovato a spiegare quest’episodio
capitatomi ai tempi dell’università (detto in questo modo sembra che io l’abbia fatta
trenta anni fa, ma non è così) a due gruppi diversi di persone che non si
conoscevano fra loro. Ho quindi capito che è arrivato il momento di raccontarlo
anche a voi, o fedeli lettori, anche se ometterò i nomi per privacy (e per
evitare guai, non sai mai che può succedere). Corrisponde tutto a realtà,
credeteci. E se non ci credete posso farvi vedere il libretto universitario
della Federico II di Napoli.
Una mattina io e gli altri del mio corso dovevamo fare il
parziale di un esame, e con nostra gioia scoprimmo che si trattava di uno
scritto a risposte multiple. L’esame intero era corposo e il professore volle
venirci incontro con qualcosa di semplice. O meglio, gli altri lo scoprirono
prima di me, perché i mezzi pubblici fecero un piccolo ritardo e io arrivai in
aula che stavano praticamente per cominciare. Il professore mi mise in prima
fila, come gli abbonati SKY, solo che io ero un po’ meno contento.Mi guardai indietro mentre mi sedevo: eravamo in pochi, dietro di me due file vuote e infine tutti i miei compagni. Va bene, almeno tento e vedo com’è l’esame, la prossima volta lo supero fu quello che pensai: la speranza è l’ultima a morire ma nel mio caso un proiettile vagante l’aveva beccata all’arteria femorale, quindi...
Passano i minuti, tento invano di contattare i miei compagni a distanze siderali, rispondo ad alcune domande, le più semplici, quando i primi secchioni cominciano a consegnare. Vedo il professore che, ogni volta che uno studente consegna, prende un foglio e confronta le risposte.
In guerra, quando si era in trincea non si accendevano tre sigarette con lo stesso fiammifero: il nemico alla prima sigaretta prendeva il fucile, alla seconda trovava il bersaglio e alla terza faceva saltare la testa dell’ultimo, e sfortunato, soldato a usufruire del fiammifero.
Alla prima consegna, capii di che foglio si trattava, alla seconda vidi se le mie risposte sicure erano le stesse di quel foglio e dalla terza in poi copiai a macchinetta: 1B, 2D, 3A etc etc.
Fui l’unico a prendere 30 a quel parziale, il che mi diede un ottimo biglietto da visita per i parziali successivi, e poi riuscii in un’impresa proibitiva: copiare dal professore... Ne parlai con i miei compagni e tra noi divenne una battuta scacciacrisi, a ridosso degli esami, dire al massimo copiamo dal professore, ma nessun altro lo sapeva. Almeno così credevo.
Due anni dopo diedi con pieno successo qualche dritta a un amico per farlo entrare nel mio corso di studi, dato che gli piaceva la materia. Venne ammesso anche lui alla Federico II di Napoli, e dopo un po’, si trovò alle prese con lo stesso esame di cui vi ho parlato, e pochi giorni prima di darlo ci trovammo a parlare.
“Non so niente, speriamo ci faccia fare lo scritto. Sai - abbassò la voce - mi servirebbe quello che si dice sia successo a uno studente anni fa, che copiò dal professore e prese 30.”
“Ah... Guarda che ero io quello studente.” Mi guardò come si guarderebbe un alieno, anzi no, Chuck Norris.
“Ma davvero?! E come hai fatto???”
Ero diventato una leggenda, e probabilmente lo sono ancora tra quanti si apprestano a fare quell’esame (il professore non credo sia cambiato, almeno fino all’anno scorso era sicuramente lo stesso). Ora so come si sente Re Artù.
Inchinatevi al Re.
P.S. Se non li avete riconosciuti, la canzone è dei
Motorhead, “King of Kings”.