Chi segue con assiduità questo blog, sa che in qualche intervento ho narrato le mie gesta eroiche, come quella che mi ha fatto diventare leggenda all’università. Ma nessun supereroe vince sempre, e quindi oggi voglio narrarvi di una grossa sconfitta, anche se per demeriti non miei.
Ma andiamo con ordine. Qualche settimana fa decido di andare
a far visita a un mio familiare che vive nella parte alta dell’Italia. Pochi
giorni di relax al Nord, festicciuole e così via. Un giorno, dopo mattinata per
boschi, pranzo in agriturismo e altro giretto pomeridiano, la fotocamera si
scarica. Di conseguenza la metto a caricare e mi preparo per l’uscita serale in
un bar della zona, dove c’è un mojito party, tanto non ho altre foto da fare.
Mai decisione fu più sbagliata, poiché questo bar era stato comprato anni prima da Fernando
De Napoli, calciatore che (elenco, spero, solo per i più piccoli) tra le altre
cose, ha giocato il mondiale 1986, quello 1990 in Italia con la nazionale italiana
giunta terza, ha all’attivo 54 presenze in Nazionale, 2 scudetti vinti con il
Milan e 2 con il Napoli, dove giocava in squadra con Diego Armando Maradona, 1 Coppa
Italia, 3 Supercoppe italiane, 1 Coppa UEFA, 1 Coppa Campioni e 1 Supercoppa
UEFA.
Avevo anche chiesto al mio parente se al bar avremmo
incontrato il celebre ex calciatore del Napoli, ma lui mi aveva detto che De
Napoli andava al suo bar solo una volta al mese per una serata ben definita, e
quindi non avevo motivo per non credergli. Comunque, mi trovo al bar, fila interminabile per arrivare al
bancone e ordinare il tanto sospirato mojito prima di diventare troppo anziano
per poterne bere uno senza problemi renali. Il mio parente mi fa: «Un momento,
vedo se c’è De Napoli, il suo tavolo è sempre lo stesso, ci metto un attimo».
Ora, dovete sapere che il familiare in questione, durante le
feste, sarebbe capace di fermarsi a parlare con Arnold Schwarzenegger, senza il
minimo timore e senza calcolare il fatto che non saprebbe farsi capire al
meglio in inglese.
A ogni modo, torna portandosi dietro proprio Fernando De
Napoli. Io rimango tipo statua (sono un supereroe, prima o poi dovranno farmi
una statua, quindi mi porto avanti col lavoro), poi il mio familiare, rivolgendosi al calciatore: «Fernando, il mio
parente non credeva che saresti venuto stasera! Te lo presento!» E De Napoli si
ferma a parlare con me mezzo minuto, poi mi dice: «Scusami ma ora devo andare a
controllare alcune cose per la serata. Ma facciamo così: non mi trattengo
molto, se fai in tempo sono al mio tavolo e beviamo un mojito insieme.»
Io prendo da parte il mio familiare, gli sussurro: «Non
doveva venire stasera, già. Ora mi aspetti qui, volo a casa,
prendo la fotocamera ormai abbastanza carica e torno. Tu fai la fila per me, ci
vediamo tra pochissimo.»
Volo giustappunto a casa del parente che mi ospita, poche
centinaia di metri, tre o quattro minuti a piedi. Prendo la fotocamera e, ben
più fiducioso, mi riavvio al bar, pensando alle foto di me con De Napoli mentre
sorseggiamo un cocktail e facciamo battute sui suoi avversari, per passare magari a parlare di Maradona. Ma ogni
supereroe ha la sua nemesi: nel mio caso i carabinieri, che mi fermano all’uscita
di un vicolo che ho attraversato per risparmiare tempo. Non dico armi in pugno, ma
quasi (dovevano aver capito che ho superpoteri), mi chiedono cosa ci faccia lì,
chi io sia e altro, per poi chiedermi i documenti. Spiego ai due nella volante
di chi sono ospite (è un paese piccolo, confido nel fatto che, conoscendosi
tutti, mi lasceranno andare) ma mi tengono lo stesso venti minuti tra
accertamenti, controlli, esclusa la palpazione del contenuto delle mie tasche. Per la cronaca, avrebbero trovato un cellulare, la fotocamera, le chiavi e i soldi. Stop.
Mezz’ora abbondante dopo, riesco ad arrivare al bar. Il mio
familiare mi chiede come mai ho fatto così tardi, ma ha il mojito, evvai! Gli
chiedo quale sia il tavolo del mio futuro fraterno amico Fernando De Napoli, e
lui me lo indica. Ma... Il calciatore non c’è. Chiediamo a un cameriere, e dice
che è andato via da pochi minuti.
Bevo mesto il mojito dal sapore ormai amaro. Ma un supereroe
è come Chuck Norris: non perde, rimanda la vittoria. So dove e quando trovare
il calciatore, prima o poi berrò con lui. Sempre che non venga arrestato
prima per aver camminato con sospetto nei vicoli sospettosi.