giovedì 22 dicembre 2016

I concetti nobili di Concetta Mobili


Una notizia di inizio mese mi ha riportato alla mente altri eventi, e ho deciso di collegare le varie idee in un solo post. Ma partiamo dal principio.
Negli anni a cavallo tra il secondo e il terzo millennio, imperversava il personaggio di Concetta Di Palma, meglio conosciuta come Concetta Mobili. Era la titolare dell’omonimo mobilificio di Casapulla, in provincia di Caserta, e divenne famosa per le particolarissime pubblicità che permisero, tra le altre cose, alla sua azienda di aumentare le vendite a dismisura.
Le si aprirono le porte della televisione, fu ospite di Maurizio Costanzo e di Piero Chiambretti, oltre che di Lino D’Angiò per una rete locale ma molto seguita, dove esprimeva i famosi “Concetti nobili di Concetta Mobili”. Una pagina televisiva che non saprei se definire esattamente trash o qualcosa di mai visto prima, una mistura tra diversi stili.
A ogni modo, la sua offerta maggiore era rivolta agli sposi, ai quali proponeva i mobili di tutta la casa a prezzi e condizioni che tagliavano fuori la concorrenza, inoltre tra i vari bonus c’era Mario Merola che cantava l’Ave Maria agli sposi o l’auto d’epoca “scappottabile” per il giorno del matrimonio. Quando voleva strafare, nelle pubblicità e in TV, per l’acquisto completo dei mobili offriva il ricevimento gratuito alla Sonrisa o il viaggio di nozze. Non so se abbia mai mantenuto la parola, ma non mi stupirei che fosse sul serio così, dato che era vulcanica, sempre, ma a suo modo onesta.
Il 24 aprile 2005 venne a mancare per un infarto, e da allora il mobilificio segnalato dal celeberrimo “vigile luminoso” vide colare a picco le vendite, senza la luminosità della prorompente Concetta. Meno di quattro anni più tardi, nel febbraio del 2009, il mobilificio dichiarò fallimento e venne chiuso. Un finale triste, ma sette anni dopo la storia sembra voglia ripetersi.
Altro personaggio campano noto, altri programmi televisivi, questa volta grazie a Real Time. Qui è andata in onda la controversa trasmissione “Il Boss delle cerimonie”, una sorta di reality ambientato nella struttura di Antonio Polese, la Sonrisa, la stessa che figurava tra i benefit di Concetta Mobili. Tra l’altro, prima che la Sonrisa diventasse famosa per la seconda volta, io ci sono stato per una cerimonia, e posso assicurarvi che quella ammirata in televisione è molto diversa da ciò che si poteva vedere prima.
Giusto un sunto velocissimo, dato che parliamo di storia recente, riguardo la Sonrisa. A inizio novembre, un mese e mezzo fa, i locali sono stati sequestrati per abuso edilizio, infine l’1 dicembre è morto Antonio Polese, mentre ancora si stava girando la quinta stagione del programma ambientato nel suo regno.
Il figlio ha detto di voler continuare e creare anche la sesta stagione, ma Antonio Polese e Concetta Mobili mi sembrano molto simili. Senza Concetta, quindi, il mobilificio è fallito. Cosa accadrà ora al programma e alla Sonrisa?
Non nutro molte speranze e mi dispiace, perché i simboli veraci di questa zona, per quanto magari non condivisi per diversi motivi da tutti, sono sempre meno, e mi piacerebbe vedere ancora in alto il simil-reality campano.


domenica 6 novembre 2016

Un film all’Inferno

In foto, Tom Hanks si chiede: “In che caspio di film sto recitando? Ho letto il libro, la storia era diversa”

Ci sono alcuni autori di cui mi tengo al passo con la loro produzione. Uno di questi, come chi mi conosce sa, è Stephen King. Un altro è Dan Brown, quindi non potevo lasciarmi scappare, già appena uscito, nel 2013, la sua più recente fatica letteraria, “Inferno”. Il quarto libro con protagonista il professor Robert Langdon lo vede di nuovo in azione nella penisola italiana, segno tangibile, dopo “Angeli e Demoni”, ambientato a Roma, che qualcosa del nostro paese gli è rimasto dentro.
“Inferrno” lo reputo la sua opera migliore, pensiero condiviso anche da alcuni scrittori e critici letterari con i quali ho parlato a lettura conclusa. Ragion per cui mi sono fiondato anche al cinema, quando l’omonimo film è uscito.
Da qui in poi cominciano gli spoiler, ma potete procedere tranquillamente se avete letto il libro e non volete vedere il film, o viceversa.
L’idea di fondo del libro è stata totalmente snaturata nel lungometraggio con Tom Hanks nelle eterne vesti del professore alla ricerca di intrighi storici. Il virus a cui lavora Bertrand Zobrist, scienziato preoccupato dalla sovrappopolazione mondiale, è il nodo focale della storia, e sembra prevedere una nuova peste in grado di decimare il numero di abitanti della Terra. Alla fine, dopo ricerche, fughe e pericoli in agguato, si scopre che il virus è già in circolo e tutto il mondo ne è infetto. Ovviamente Langdon e gli altri si chiedono quanto tempo gli resti da vivere, e qui il colpo di genio: nessuno morirà, nemmeno una singola persona: il virus renderà sterile un terzo della popolazione mondiale, in maniera puramente random. In più, restando latente nei due terzi restanti, i portatori sani, farà “ammalare” un esponente su tre della generazione successiva. L’obiettivo, raggiunto, è un controllo delle nascite eterno che eviterà la sovrappopolazione.
Nel film, non riesco neanche a immaginare la ragione del cambiamento, si pensa a un virus della peste e infatti, alla fine, il virus è totalmente divers... Ah no, è della peste. Un brutto film, perché troppo lineare, anche per chi non ha letto il libro, mentre è orrendo per chi si è innamorato del romanzo.
Altro punto forte del libro, la totale assenza di cattivi puri. Tutti quelli che sparano, o sparano a salve o proteggono un bene più grande, e il lettore è portato a stare dalla parte di Zobrist per il nobile fine che si è imposto, sacrificando per esso la vita. Nel film, ovviamente i cattivi sono lo scienziato e i suoi aiutanti, desiderosi di sterminare la razza umana dalla faccia della Terra.
Sienna, o quelli del Consortium (l’agenzia dislocata sulla nave e che protegge Zobrist dietro lauto compenso), o addirittura Vayentha, passando dagli altri, vengono tutti riabilitati alla fine del romanzo, tanto che il virus viene lasciato libero non solo per l’impossibilità di fermarlo.
Il libro e il film mi hanno ricordato la storia del primo “Nightmare”, 1984, rispetto al suo remake, datato 2010. Nell’originale, si lascia pensare allo spettatore che l’iconico Freddy Krueger sia un molestatore di bambini e invece, alla fine, si scopre che li tortura perché attirato dalla loro purezza, in quanto è il Male puro e assoluto. Nel remake, si lascia ugualmente pensare allo spettatore che Krueger sia un pedofilo e invece, alla fine... Sì, è un pedofilo. Si sentiva il bisogno di snaturare “Nightmare” e, al contempo, si sentiva il bisogno che il regista Ron Howard mettesse le mani così su questo lavoro di Dan Brown?

domenica 16 ottobre 2016

Ass Kicker, il super caffè viene dall’Australia


Nel gennaio del 2015 ho parlato delle Atomic Kick Ass, le cosce di pollo iperpiccanti mangiate più come una sfida che per gusto.
Una notizia che rimbalza da qualche settimana in rete tratta una bevanda dal nome simile, Ass Kicker, che tradotto significa più o meno “calcio in culo”. Un bar australiano, il Viscous Coffee, ha difatti inserito nel menu un caffè freddo davvero molto potente, i cui ingredienti sono quattro tazzine di caffè espresso, quattro cubetti di caffè congelato, 120 millilitri di caffè americano freddo e per finire quattro cubetti di ghiaccio speciali.
Una ricetta che ricorda il caffè in ghiaccio che si beve d’estate nel Salento, ma con molta più caffeina. Come spiega un esperto, un espresso contiene circa 60 milligrammi di caffeina, l’Ass Kicker 5 grammi, 80 volte tanto.
Come le Atomic Kick Ass, viene consumato più per sfida che altro, infatti il creatore giura che può tenerti sveglio per 18 ore, anche se bevuto in tre o quattro ore, come consigliato. Altra affinità con le cosce di pollo piccanti, viene accompagnato da un avvertimento medico.
Io sono un amante del caffè, riesco a berne all’una di notte e poi addormentarmi alle due al massimo, e quindi assaggiarlo mi incuriosisce, ma gli effetti sembra siano assimilabili a quelli di una droga eccitante, quindi non so se mi arrischierei. E voi cosa ne pensate?

domenica 25 settembre 2016

CM Punk e il ballo dei debuttanti


Ho atteso un po’ per scrivere questo pezzo: il 10 settembre CM Punk ha esordito nelle Arti Marziali Miste, direttamente nella maggiore federazione mondiale, UFC, argomento di cui ho già parlato qui.
La sconfitta, per mano di Mickey Gall, è arrivata al primo round, dopo 2 minuti e 14 secondi di lotta. Un inizio in cui ha gettato il cuore oltre l’ostacolo, lanciandosi contro il giovane avversario. Peccato che quest’ultimo lo abbia bloccato a terra in un lampo, e Phil Brooks non sia più riuscito ad alzarsi, cedendo dopo 2 minuti di pugni e prese di sottomissione. Più che l’esito dell’incontro, che come ho detto nel precedente intervento era il più verosimile, ho seguito le dichiarazioni di Dana White, patron della UFC. L’uomo ha detto che il prossimo incontro dell’ex wrestler campione mondiale non sarà nella sua federazione, che dev’essere un punto di arrivo e non uno stage per imparare.
Ho letto diverse critiche nei confronti di CM Punk, che non condivido. In realtà, ho atteso un po’ per scriverne, spulciando il suo profilo Twitter in attesa di risposta, che non è arrivata. Non ha commentato nemmeno la sua pazzoide moglie, l’ex wrestler AJ Lee e campionessa mondiale in WWE a sua volta, se si eccettua un “my hero” corredato da foto a fine incontro.
Non condivido le critiche perché in pratica lui ha chiesto a Dana White di lottare in UFC e l’altro ha accettato. Piuttosto, lo stesso proprietario della federazione è stato frettoloso sia nell’assumerlo sia nello scaricarlo, questo si può dire.
La domanda che ho da giorni e che, invece, voglio porvi, è: ha fatto bene a chiedere di debuttare lì, o avrebbe dovuto fare la gavetta in federazioni minori? Lascio a voi la risposta, non mi sono ancora fatto un’idea precisa.

domenica 28 agosto 2016

CM Punk: dalla WWE alla UFC, sempre al massimo


Come promesso la volta scorsa, rieccomi a parlare di MMA e nello specifico della sua massima federazione mondiale, la UFC. Le MMA rappresentano uno sport da sempre molto controverso, e quindi parto dallo scorso intervento, dato che nel frattempo sono sorte novità. Nonostante non ci siano conferme, sembra che The Beast, Brock Lesnar, vittorioso contro Mark Hunt, sia risultato positivo a un controllo antidoping, forse due. Ebbene, sempre che 1) la sostanza sia stata realmente assunta e 2) abbia di fatto deciso la sua vittoria, falsando il risultato, il cammino di Lesnar nelle MMA resta comunque superiore a quello di tantissimi altri fighter.
Dopo questa doverosa precisazione, passo all’argomento di questo pezzo, e voglio affrontare con voi il capitolo CM Punk, altro ex-wrestler WWE (compagnia simbolo del wrestling), approdato alla UFC, uno che sicuramente non corre rischi all’antidoping: segue la filosofia Straight Edge, ovvero niente droghe, alcol o eccessi di alcun genere, e anzi fino a qualche tempo fa era vegano, regime alimentare che ha dovuto abbandonare perché mal si sposava con i massivi allenamenti di wrestling o Mixed Martial Arts.
All’evento in PPV, UFC 203, il 10 settembre, affronterà Mickey Gall. Un suo pallino, le MMA, e da suo fan mi farà piacere poterlo ammirare anche nell’ottagono, ma a differenza di Lesnar, Punk a mio avviso non ha quella preparazione necessaria (intendo preparazione giovanile e di formazione, non quello che sta facendo in questi mesi). E comunque anche Lesnar ha perso all’esordio.
Ciò porta a un altro punto che mi rende dubbioso: The Beast Incarnate ha esordito nella UFC a 30 anni e mezzo, mentre Phil Brooks, ovvero CM Punk, ora, a quasi 38 anni; Lesnar ha avuto tempo per riprendersi dalla sconfitta grazie all’età, tempo che mancherebbe alla Straight Edge Superstar, tranne se il proprietario della UFC, Dana White, decida di sposare in pieno la sua causa tanto da riproporlo con lo status di perdente. Con Lesnar l’ha fatto, e lui è arrivato al titolo massimo, ma vorrà in caso ripetere la scommessa?
Guarderò il match del nativo di Chicago, sapendo che sia più probabile una sconfitta di una vittoria, ma calcolando anche che la sua determinazione potrebbe fargli superare l’ennesimo ostacolo.

venerdì 15 luglio 2016

Brock Lesnar, il Cecchino


Ho atteso qualche giorno per scrivere questo pezzo, onde evitare tutti i possibili spoiler agli amanti delle MMA, del wrestling e dello sport in generale.
Ovviamente si parla del ritorno di Brock Lesnar nell’ottagono della UFC, di cui è stato campione dei pesi massimi dal 2008 al 2010. Vi rimando a un altro pezzo che ho scritto su questo atleta, qui, per farvi capire di cosa si parla: campione assoluto nella WWE, nella NJPW, nella NCAA e appunto nella UFC.
Nonostante l’atleta del Minnesota sia tutt’ora sotto contratto con la WWE, è riuscito, per un accordo tra Vince McMahon e Dana White (rispettivamente a capo di WWE e UFC) a tornare nell’ottagono prima che fosse troppo tardi per esibirsi ad alti livelli. Ha affrontato Mark Hunt, ottavo nella categoria massimi, battendolo per decisione unanime del giudici (tre 29-27) al termine di un match durissimo.
Cosa succederà ora? Continuerà a dividersi tra wrestling e lotta “vera” e, magari, andare per il titolo in entrambe le categorie? Non saprei, piuttosto voglio soffermarmi ora sul suo score negli incontri di Mixed Martial Arts, 6 vittorie e 3 sconfitte. Non un granché, direte voi, ma se andiamo a vedere come sono arrivate le sconfitte, a mio avviso resta praticamente imbattuto. Mi spiego meglio.
Il primo stop è giunto al suo esordio in UFC, in cui l’inesperienza gli ha giocato un brutto scherzo, portandolo all’unica sconfitta per sottomissione. 2 febbraio 2008, a vincere fu Frank Mir. Da allora, quattro vittorie, condite dalla conquista del titolo dei pesi massimi e dalla rivincita contro Mir, vinta stavolta da Lesnar. Poi, la diverticolite, una patologia che colpisce l’apparato digerente. In realtà, l’aveva già durante l’ultima difesa vittoriosa del titolo. Quando però il problema si è fatto più persistente, ha perso il titolo e poi un altro match ancora. Da qui, il ritiro per risolvere la patologia e, a guarigione completa, la chiamata della WWE che lo ha allontanato dalle MMA. Infine il ritorno, domenica scorsa, al 100% della forma fisica, con altra vittoria.
Possiamo in definitiva dire che l’unico avversario che è riuscito a battere Lesnar è stato un problema fisico che aveva messo in forse la sua carriera in UFC. Il che ci porterebbe a fare un altro esempio di wrestler “prestato” per un periodo più o meno lungo alle arti marziali miste, ma avremo tempo la prossima volta. Restate sintonizzati.

domenica 19 giugno 2016

22.11.63, la fine(?) del telefilm


Nello scorso intervento ho preso in esame il telefilm “22.11.63”, di J.J. Abrams, che vede come produttore esecutivo Stephen King, lo stesso autore del praticamente omonimo romanzo da cui la storia è tratta. Vi rimandavo a un nuovo intervento, appunto questo, per parlarvi del finale. Ho atteso un po’ per evitare rischi di spoiler nei confronti di chi non avesse ancora visto l’ottava e ultima puntata della serie televisiva.
Ora posso dire, ricollegandomi alle frasi finali dell’altro intervento, che il terribile timore non si è verificato: per me che ho letto il libro, seguire i tempi del telefilm è stato semplice, nonostante le mille differenze nel realizzare la trasposizione sullo schermo. Il timore riguardava il finale: la storia stava procedendo lentamente, e pensavo potesse interrompersi al passaggio di Jake Amberson/Epping nel suo tempo (2016) dopo aver evitato l’omicidio di John Fitzgerald Kennedy. Una seconda serie su ciò che accade nel futuro, con ritorno al passato, tentativo di rimettere tutto a posto salvando il rapporto tra Jake e la professoressa Sadie, nuovo tentativo di sventare l’omicidio del presidente e così via, con continue scene ripetitive e poco appetibili, sembravano un mostro che cresceva puntata dopo puntata.
Invece, sono stato piacevolmente smentito, e il personaggio interpretato da un magnifico James Franco fa una scelta molto simile al libro. Ci arriva però in modo completamente diverso, nel romanzo il suo ultimo viaggio nel passato è molto più emblematico e lungo.
Ecco, se da un lato il timore di salti ripetitivi in una seconda stagione si è rivelato infondato, dall’altro le conseguenze e le ultime decisioni di Jake Epping sono state trattate in modo troppo frettoloso nel telefilm, quello è un grosso neo: a metà ottava puntata era alle prese con Lee Harvey Oswald, sui titoli di coda stava ballando. Nel libro ci son volute più di 100 pagine.
Niente seconda stagione, quindi? Non proprio, sembra che Stephen King voglia rimettere mano al romanzo per scriverne un seguito, con probabilissimo acquisto da parte della Bad Robot Production, la casa di produzione di J.J. Abrams, per una seconda stagione. Non so se essere felice o dubbioso della notizia, staremo a vedere. E voi cosa ne pensate?

lunedì 23 maggio 2016

22/11/63, dal libro al telefilm


Chi mi conosce e/o segue questo blog, sa che vedo pochissimi telefilm, per una questione di tempo, in particolare non so mai se e quando potrò vedere le puntate successive e, piuttosto che correre questo rischio, non comincio affatto. Tutto questo è partito dopo che rispettivamente per sette e nove anni ho seguito MacGyver e X-Files.
Però, recentemente, ho ripreso ad avere fiducia nella gestione del mio tempo, e in questo preciso istante attendo la nuova stagione di X-Files (sì, sembra che Chris Carter abbia avuto un nuovo contratto, anche per il finale della decima serie che grida vendetta), i finali di stagione di Big Bang Theory e 22/11/63.
Senza fare spoiler (devo ancora vedere la settima e l’ottava puntata, quindi non potrei nemmeno se volessi), proprio di quest’ultimo voglio parlarvi, anche perché conosco bene il romanzo da cui la serie televisiva è tratta, trovo che sia il migliore del periodo recente per l’autore Stephen King. King è parte attiva nel progetto, come J. J. Abrams, che vanta serie televisive come Lost e Fringe (un’altra che ho seguito dalla prima all’ultima puntata), e come James Franco, il carismatico protagonista, che nonostante sia gay è comunque molto bravo. Scherzo, ovviamente... Non è bravo.
Scherzi a parte, stavolta definitivamente, l’unione dei tre ha creato una storia valida che, per me che ho letto il libro, risulta lo stesso godibile. Tante piccole differenze, come i viaggi multipli di Jake Epping nel passato (nel libro) a fronte di un solo viaggio (nel telefilm) e la trasformazione dell’Uomo con la Tessera Gialla, nel libro confinato al vicolo in cui Jake compare quando viaggia nel tempo. O ancora la destinazione nel passato, 1958 nel libro e 1960 nel film, o la profonda citazione al libro It, nel romanzo, completamente persa nella serie televisiva.
Potrei continuare così per ore, ma mi limito a due cose: il personaggio di Bill Turcote, presente nel telefilm ma non nel libro, e i paletti che il passato mette davanti a chi tenta di cambiarlo. Il nuovo personaggio serve alle immagini, per creare momenti interessanti che James Franco, seppur un ottimo attore, in viaggio solitario non avrebbe saputo creare per le limitazioni del libro: lì basta saper scrivere bene (e Stephen King non si mette in discussione) e un solo personaggio può coprire centinaia di pagine, come difatti accade. La seconda, che si ricollega all’Uomo con la Tessera Gialla, è il modo di intendere i pericoli del passato: nel libro sono molto più subdoli e non hanno bisogno di pistole puntate sul protagonista, e tutto si unisce alla teoria delle stringhe, di cui il custode del vicolo, con la tessera gialla che non resta sempre gialla, sembra il custode della stessa Storia. Le frasi che dice a Jake Epping appena lo vede sembrano leggere il futuro, quasi come se sapesse fin dove si spingerà ogni volta e, quindi, come se il passato e la Storia si svolgesse comunque lungo l’asse delineato, a dispetto degli sforzi dell’uomo che vuole impedire l’omicidio di John Fitzgerald Kennedy.
Tornerò sull’argomento appena vedrò le restanti due puntate, desideroso di sapere come andrà a finire (mi aspetto altri importanti cambiamenti rispetto al libro, anche se inizio ad avere un terribile timore, di cui in caso vi parlerò).

domenica 24 aprile 2016

Il nerd del peperoncino


Chi segue questo blog sa che ho già scritto qualcosa riguardo i peperoncini, linko qualcosa in caso ve lo siate perso.
Peperoncini piccanti e sfide lanciate a Darwin
Atomic Kick Ass, le cosce di pollo mortali
Sfidare un Carolina Reaper
Oggi voglio parlarvi di un dialogo avuto con la cameriera di un ristorante messicano nel quale sono andato per la prima volta con un amico tempo fa. Prima, un altro breve dialogo esemplificativo con il gestore di un altro ristorante messicano, pluripremiato e gestito da messicani, avuto qualche settimana prima, giusto per capire cosa mi aspetto da un locale di questo genere.
Non metterò i nomi dei ristoranti, il primo perché serve per introdurre l’argomento e il secondo perché, parentesi piccante a parte, ha proposto buoni piatti, ben cucinati e saporiti, e non voglio far cattiva pubblicità sull’episodio particolare.

RISTORANTE MESSICANO PLURIPREMIATO
Io: Ciao. Hai qualche peperoncino da farmi degustare?
Gestore: Ciao, Paolo! Sì, stasera ti porto un Moruga Scorpion cresciuto di fianco a una pianta di Habanero Orange. Ha il sapore e la potenza di un Moruga, ma con sentori fruttati di Habanero. Dato il periodo, è congelato, ma basta aspettare che arrivi a temperatura. Poi mi dici.
Io: Ottimo, grazie.

RISTORANTE MESSICANO NUOVO
Io: Ciao. Allora, oltre ai piatti ordinati, vorremmo del peperoncino fresco da degustare. Il mio amico non ha il palato allenato, cos’hai di fresco o, dato il periodo, congelato?
Cameriera: Abbiamo lo Jalapeño.
Io: Ottimo, non molto piccante, per lui va bene. Per me invece hai un Carolina Reaper?
Cameriera: (disorientata) Eh?
Io: Va be’, forse un Naga Viper, o un Bhut Jolokia, o un Moruga Scorpion?
Cameriera: (sempre più disorientata) Eh?
Io: Va be’, un Habanero?
Cameriera: (con un sorriso raggiante) Ah, ho capito! No, non abbiamo gli Habanero.
Io: Ti ho detto i nomi di cinque peperoncini diversi, se avessi detto Chocolate e Lemon avrei indicato due Habanero. Hai uno degli altri?
Cameriera: (di nuovo disorientata) Ehm... No, nessuno di quelli, mi sa.
Io: Scusami, che peperoncini avete in questo ristorante messicano?
Cameriera: Solo gli Jalapeño.
Io: Ah...
Stavo per aggiungere qualcosa a riguardo, poi mi sono un attimo visto da fuori, ho capito di comportarmi da nerd del peperoncino e ho preso un altro Jalapeño. Per fortuna il mio amico, dopo che lei si è allontanata, mi ha detto che avevo fatto bene, altrimenti non avrei saputo dire chi, tra me e la cameriera, fosse più a disagio.

sabato 26 marzo 2016

Un pot-pourri di cinema


Negli ultimi tempi, ho visto diversi film per farmi un’idea delle candidature agli ultimi Oscar. In seguito, ho visto o rivisto altre pellicole, e sono giunto ad alcune conclusioni.
La prima riguarda uno dei miei attori preferiti, Sylvester Stallone. Per come la vedo io (e sono paurosamente di parte, lo ammetto) è stato derubato per la seconda volta, a distanza di 40 anni, di un premio Oscar, ed entrambe le volte dopo essersi messo nei panni di Rocky Balboa. Lui non interpreta Rocky, lui È Rocky, quindi avrebbe dovuto vincere la statuetta perché i restanti candidati, a differenza sua, studiano la parte per diventare qualcun altro giusto il tempo di un film.
La seconda, invece, è sull’Oscar finalmente vinto da Leonardo DiCaprio. Dopo “Inception” e “Wolf of Wall Street”, questo è il suo film migliore. Il fatto che abbia vinto quest’anno e non con gli altri due capolavori, per me significa che la giuria ha premiato lui di più per la carriera che per il nuovo film in sé. In pratica, pezzetto dopo pezzetto, ha guadagnato un premio Oscar intero. Peccato che sia capitato con “Revenant - Redivivo”, una pellicola meno riuscita rispetto alle altre due già citate.
La terza poco c’entra con il discorso premio Oscar, infatti è giunta pochi giorni fa. Dopo aver fatto un piccolo tragitto in automobile, e aver sentito di un nuovo film in uscita su Heidi, ho avuto reazioni contrastanti: la prima è stata ovviamente “Perché devono rovinare qualsiasi parto riuscito dell’uomo con i remake? Già Dragon Ball originale non era un capolavoro, ma il film lo ha definitivamente ucciso. Ora Heidi... Va be’, noi sopravviveremo anche a questa. Heidi, invece, no.”
Però, poco dopo, mi sono trovato a passare fuori un cinema, un bambino piccino tenuto per mano dal padre. Il pargolo, indicando la locandina di “Superman vs. Batman”, ha affermato con sicurezza di volerlo vedere. Continuando a camminare, ho immaginato lo stesso pargolo tra qualche giorno, che fissa la locandina, resa accattivante da un lavoro grafico che dovrà esser fatto, e sottolineo dovrà esser fatto, del film di Heidi. Tutti i bambini e le bambine che vedranno il film di Heidi saranno i nuovi testimoni che rinnoveranno quella leggenda, il che è a dir poco fondamentale. È delittuoso lasciar cadere nel dimenticatoio Ken il Guerriero, L’Uomo Tigre, Goldrake, Great Mazinger e mi fermo qui per non fare una lista infinita. Oggi tocca ad Heidi, domani magari a Holly e Benji. Ok, il film potrà essere una cagata pazzesca di fantozziana memoria, ma almeno ci sarà una nuova generazione che dirà, giocando a calcio, che vuole essere Oliver Hutton. Un brutto film val bene la continuazione della leggenda, secondo me. Voi cosa ne pensate?

lunedì 29 febbraio 2016

X-Files: This is the end (?)


Ho terminato da pochi giorni la visione della decima (e ultima, almeno per ora) serie di X-Files, che ha segnato il ritorno di David Duchovny e Gillian Anderson rispettivamente nei ruoli degli agenti FBI Fox Mulder e Dana Scully.
Lungi da me celebrare nuovamente i successi dei due e del telefilm creato da Chris Carter (l’ho già fatto in passato in altri interventi e comunque in giro per la Rete si trovano migliaia e migliaia di articoli così). Più che altro voglio parlare della decima serie e soprattutto del finale (per ora tranquilli, niente spoiler): sei puntate per il rientro nei ruoli dopo quindici anni dalla fine della nona serie. Ottimo aver richiamato il vice-direttore Skinner e l’Uomo che Fuma, tra gli altri, e ottima la classica puntata “ridicola” che spezza il ritmo forsennato. Per inciso, terza puntata, quella “ridicola”, che riesce comunque a dare un punto di vista originale sulla questione lupo mannaro.
Meno bene la voglia di cincischiare: le uniche puntate sul Complotto sono la prima e la sesta, troppo poco a fronte delle restanti quattro puntate in cui si è parlato d’altro, seppur con le attenuanti del caso (la madre di Scully, i Pistoleri Solitari e tutti i riferimenti alle nove serie precedenti sono state un buon amarcord). Si poteva e si doveva narrare di più sul filone principale, calcolando che si è riusciti ad avere in squadra William B. Davis, 78enne che realisticamente non può fare questo mestiere fino alla fine dell’eternità, e che esclusa l’ultima puntata dice due frasi, di cui una fuori dal contesto del complotto di cui fa parte.
Si passa così al finale, che definire aperto è come dire che il Barcellona è una squadra di calcio accettabile. A quel finale DEVE seguire qualcosa, e non c’è nulla di certo nonostante Chris Carter abbia parlato in recenti interviste di un terzo film, di cui esiste già la sceneggiatura, e di un’eventuale undicesima stagione, che potrebbe interessare il canale Fox dopo gli ottimi ascolti della decima serie.

Da qui spoiler

Parlare per sei puntate, qua e là, del figlio di Fox Mulder e Dana Scully, e non mostrarlo (tranne se era a bordo del velivolo alieno degli ultimi istanti della sesta puntata, ma anche in quel caso non si è visto) può servire solo a un succulento seguito nel quale si paleserà. E, più in generale, chiudere tutto con Dana Scully che fissa una luce aliena mentre Mulder sta praticamente morendo di fianco a lei, non rende giustizia alle 200 e oltre puntate precedenti.
Direi che la frase che apre la sesta puntata, “This is the end”, è l’ennesimo tentativo di sviare i milioni di accaniti fan della serie televisiva, che dopo quell’immagine conclusiva con Scully a guardare in alto, hanno ancora più fame.

domenica 31 gennaio 2016

Sfidare un Carolina Reaper

Il 22 gennaio scorso c’è stata una ricorrenza, omaggiata anche da Google con un doodle in cui era inserito un giochino, che ho molto apprezzato. Si tratta del 151esimo anniversario della nascita del chimico Wilbur Scoville, autore della celebre e omonima scala di Scoville, la quale serve a classificare i peperoncini in base alla loro piccantezza.
Chi segue questo blog sa che mi sono già occupato di peperoncini e che posseggo alcune piante. Mi sembra quindi doveroso ricordare l'eminente figura, seppur con alcuni giorni di ritardo, su queste pagine. Il ritardo è dovuto al fatto che solo ieri ho avuto questo filmato, realizzato da alcuni amici a cui ho dato un Carolina Reaper, il peperoncino più piccante al mondo, dalla mia pianta, e che hanno deciso di mangiarlo filmandosi e dando il loro contributo alle numerose sfide che si trovano su Youtube e su altre piattaforme che ospitano video.
Quindi, senza altri indugi vi lascio alla visione del filmato, raccomandandovi di vederlo tutto (la parte “Giorno 2” è la migliore) e rassicurandovi sul contenuto: niente vomito o altre scene che potrebbero urtare la vostra suscettibilità, ma solo quattro ragazzi alle prese con il peperoncino più piccante al mondo. E i suoi effetti.