Qui e qui i due capitoli precedenti del racconto di cui adesso potrete finalmente leggere la fine. So che non vedete l’ora di sapere cosa succede, quindi buona lettura, a fra poco per i saluti.
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Migliaia di occhi strabuzzati, o almeno così sembrava al
giapponese dolorante, lo fissavano. Fu un attimo interminabile. Si sentiva
respirare piano, molte bocche sbarrate, mentre nessuno aveva il coraggio di
rompere il silenzio.
Molto peggio di come
mi ero aspettato, rifletté Tsutomu. Almeno
i miei colleghi mi parlavano.
Il presidente parve leggergli nel pensiero, perché esclamò:
«Yamaguchi, pensavamo non venisse più. L’avremmo compresa, sia chiaro» si
affrettò ad aggiungere, dopo aver capito che poteva aver commesso una gaffe.
Tsutomu si rilassò subito e quasi gli scappò un sorriso: non
era curiosità, lo guardavano come se fosse lui il presidente. Tra l’altro, non
ricordava quanto tempo prima gli aveva dato del lei l’ultima volta.
Probabilmente mai.
«Non potevo mancare. Se volete, arrivo subito al punto: tra
riposo e antidolorifici non sono al meglio.»
Questa volta qualcuno dei presenti sorrise, dandogli forza
per continuare. Parlò in breve dell’incontro di lavoro, ovviamente saltato, e
dell’esperienza vissuta.
«Quanti missili hanno lanciato? Ho letto che la città è rasa
al suolo.»
«Uno solo, almeno così mi hanno spiegato.» Dalla reazione
dei suoi interlocutori, dedusse che le notizie non circolavano con velocità.
Il silenzio che seguì alla sua affermazione era una cappa
pesantissima. Gli impediva di vedere la luce in fondo al tunnel, sempre più
vicina (le ultime due dosi di antidolorifico le aveva prese in misura minore
rispetto alla prescrizione). Lottò per tornare a fissare la luce abbagliante
che significava salvezza, e riprese a parlare: «È bastato quello.»
BOCKSCAR arrivò su Nagasaki, e i timori di Sweeney si
dimostrarono fondati: le nuvole coprivano anche quella città. «Come siamo messi
con il carburante?»
«L’autonomia è minima, maggiore.» Aspettavano tutti il
prossimo ordine.
«Non c’è tempo da perdere, procederemo con lo sgancio della
bomba usando il radar.»
«Un momento.» La voce sicura dell’addetto al radar spezzò la
tensione crescente. «C’è uno spiraglio, lì» disse indicando un punto alla
destra del velivolo.
«Va bene, ci basta colpire Nagasaki. Puntiamo quel grande
stabilimento, mi sembra un buon obiettivo. Procediamo.» Il comando era stato
impartito, il resto fu ordinaria amministrazione, se così si poteva definire il
lancio di Fat Man, una bomba di quattro tonnellate e mezza, che avrebbe
liberato una potenza di 25 chilotoni.
Mentre il velivolo si allontanava dal bersaglio, il maggiore
rimase a guardare allibito la bomba che scendeva a gran velocità. Da quando,
pochi giorni prima, il pilota Paul Tibbets aveva sganciato Little Boy sulla
città di Hiroshima, aveva un’espressione sgomenta fissa sul volto. Supponeva
che fosse il prezzo da pagare.
Erano da poco passate le undici nella sala riunioni. Tsutomu
Yamaguchi non riusciva a far accettare al direttivo della Mitsubishi l’idea che
una singola bomba aveva distrutto una città, la macchina bellica americana non
poteva essere così potente.
Alla fine il presidente, fino ad allora molto taciturno,
disse: «Comunque sia andata, per fortuna lei è sopravvissuto e ora è qui. A
Nagasaki siamo al sicuro anche dalle radiazioni.»
Nel silenzio seguente tutti avvertirono un sibilo nel cielo della
città. Si voltarono verso la grande vetrata e videro scendere un oggetto sempre
più velocemente. «Cosa...»
Tsutomu Yamaguchi pregò, poi la detonazione mandò in
frantumi la finestra e si trovarono distesi a terra, sommersi dai vetri.
Questa volta l’uomo vide il fungo luminoso. Era
agghiacciante, ma quando non perse i sensi capì che sarebbe sopravvissuto. Di
nuovo.
Doveva ricominciare a percorrere il tunnel dal principio, ma
forse questa volta la luce sarebbe stata quella giusta.
Charles Sweeney morirà
il 16 luglio 2004, all’età di 85 anni.
Paul Tibbets morirà
l’1 novembre 2007, a 92 anni.
Tsutomu Yamaguchi
morirà a Nagasaki il 4 gennaio 2010, all’età di 94 anni per un cancro allo
stomaco, dopo aver scritto un’autobiografia sulla sua esperienza.
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Ci siamo, è finita. Come ho detto nell’introduzione alla
prima parte, il racconto è tratto da una storia vera, seppur romanzata in
alcuni punti, che potrete trovare sul mio sito ufficiale, a questo link.
Mi ha fatto piacere ripetere l’esperimento fatto anni fa,
seppur purtroppo su un blog che non esiste più (altrimenti vi avrei dato tutti
i riferimenti per rivivere l’avventura). Spero sia stato lo stesso per voi, lo
spero tanto perché se sono qui a scrivervi, è perché voi siete lì a leggermi.
Per questo vi ringrazio.
Potrei replicare quest’avventura in futuro, fatemi sapere se avete
apprezzato e se vorreste fare un altro viaggio con me.
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