martedì 31 dicembre 2013

Da Michael Schumacher ad Anderson Silva, un 2013 da dimenticare


C’è da dirlo: queste festività natalizie non hanno portato buone nuove agli appassionati sportivi italiani e di tutto il mondo.
Ho già parlato in un altro post dell’impressionante ruolino di marcia di Anderson Silva come peso medio nelle MMA: basta far riferimento a un solo dato, 7 anni da campione mesi medi nella UFC, maggiore federazione mondiale della disciplina. Ebbene, a luglio ha perso il suo titolo a favore di Chris Weidman, durante l’evento UFC 162, e nell’evento UFC 168 (so cosa pensate, il patron della federazione, Dana White, non ha molta fantasia) ha sfruttato il suo rematch, dopo aver detto in un primo momento che non voleva nemmeno usarlo.
In effetti, avrebbe fatto meglio a non tornare nell’ottagono: a metà della seconda ripresa è riuscito a spezzarsi di netto la tibia affondando un attacco al neocampione pesi medi, un infortunio impressionante da vedersi. Dato che già lottava con sufficienza da tempo, non so se avrà la forza di tornare nel ring, anche se sono convinto che si sarebbe ritirato comunque dopo questo match, in caso di mancata vittoria.
Altra questione riguarda l’ex ferrarista tedesco Michael Schumacher, ben più delicata. Ora, specifico che non amo parlare su questo blog di eventi in fieri, poiché tutto può cambiare da un momento all’altro e ciò che scrivo potrebbe contenere affermazioni che saranno smentite 10 minuti dopo la messa online dell’intervento.
In questo caso però faccio un’eccezione. Tutti ormai saprete dell’incidente occorso al sette volte campione mondiale: mentre effettuava un fuoripista, ha perso il controllo degli scii e ha sbattuto con la testa contro una roccia, spaccando in due il casco (che lo ha salvato da una morte istantanea) e provocando grossi danni alla testa. Al momento è in rianimazione, ma io credo che si salverà. È un atleta più che preparato, uno di quelli che se non muore sul colpo per un incidente, invariabilmente si salva data la preparazione fisica superiore.
Resta però il fatto che passerà molto tempo in ospedale, periodo a cui seguirà una riabilitazione che, in confronto, quella per la gamba rotta nel 1999 (anche lui la tibia, però destra invece che sinistra come per Silva) sembrerà la fisioterapia per un colpo di frusta. E dire che già riguardo l'incidente in Formula 1 del 1999 disse che era fortunato a essere ancora vivo.
Domani entreremo nel 2014, e magari Anderson Silva tornerà nell’ottagono e Schumacher farà una gara benefica dato che si sarà rimesso completamente. Statisticamente un’inversione di tendenza, senza altri infortuni gravi, non è una speranza, ma una previsione.

sabato 30 novembre 2013

1, 2, 3... Una notte da leoni



In questi giorni ho visto "Una notte da leoni 3", e per preparare al meglio il terreno ho rivisto i primi due.
Ho letto e sentito in giro che il terzo non sarebbe all'altezza dei primi due, ma non sono d'accordo: manca, o meglio è solo accennata nei minuti conclusivi, la "notte da leoni" del titolo, che è al centro delle prime due pellicole, ma la storia merita, è ben congegnata e tornano vecchi personaggi che avrebbero meritato più spazio (mi riferisco a Jade, ovvero Heather Graham, che non compare nella seconda pellicola dopo la buona prestazione della prima).
Il ritorno a Las Vegas con Phil (Bradley Cooper) in testa, e al Caesars Palace in particolare, è la chiusura del cerchio, una trilogia che non arriverà a toccare i fasti di "Ritorno al futuro", ma avrà il suo piccolo spazio nelle menti di chi ha visto i film.
Due i mattatori "dichiarati" dei tre film: Alan (Zach Galifianakis) e Chow (Ken Jeong), mentre quello che si fa notare di più, a mio avviso, è Stu (Ed Helms): molto cambia dal dente in meno con cui si sveglia nel primo film alle tette del terzo, passando per il tatuaggio di Mike Tyson, ma è quello ad avere il seme della follia dentro di sè, come sottolineato alla fine di "Una notte da leoni 2", con uscita inopportuna di Alan sul tipo di seme (tra le migliori battute della trilogia, a mio avviso).
Ken Jeong si mette in mostra anche per un particolare fisico, il micropene, tra i più caratteristici della saga, mentre tra le costanti dei tre film, come la telefonata di Phil o il giro in ascensore, si nota lo "sfigato" del gruppo, Doug (Justin Bartha), che vive la prima notte da leoni ma resta tutto il film sul tetto, e che addirittura nemmeno vive la seconda, mentre in "Una notte da leoni 3" è in ostaggio del cattivone (Marshall, interpretato da John Goodman, già visto nel film "Aracnofobia"), e quindi si vede e fa poco. Anche nella notte da leoni appena accennata alla fine del terzo film, è l'unico a mancare.
Ottimo l'intervento di Mike Tyson, reso al meglio dal regista Todd Phillips (già dietro la macchina da presa per "Starsky & Hutch") nelle due piccole parti dei primi film, mentre capitolo a parte merita la conclusione del terzo, a cui ho già fatto riferimento: io credo che il regista l'abbia buttata lì per un motivo preciso. Il finale aperto serve per dare vita, come ho già detto, alla "notte da leoni" del titolo, ma è anche un amo: gli attori che si sono risvegliati possono abboccare, facendo un quarto film, o lasciar stare. Anzi, il verbo abboccare è sbagliato: io sono contento così, sono stati bei film, non cerco un quarto. Ma se girassero "Una notte da leoni 4"... Cosa ci fanno a Las Vegas (sempre se sono ancora a Las Vegas) dove si trovavano prima di perdere i ricordi, con la scimmia incontrata a Bangkok nel secondo film? Una notte da leoni planetaria grazie ai milioni ricavati da Chow con i lingotti d'oro? E dov'è Doug?
Quasi certamente il giro con "The Hangover" (titolo originale) è finito, ma se continuasse...

giovedì 31 ottobre 2013

Peperoncini piccanti e sfide lanciate a Darwin


Questo che vedete in foto è il Moruga Scorpion, il peperoncino più piccante al mondo secondo la scala di Scoville, che viene usata per giudicare il grado di piccantezza dei simpatici amici di cui vi parlerò in questo post.
Qualche giorno fa mi sono ritrovato a una degustazione di peperoncini piccanti, organizzata da un tipo che coltiva peperoncino e che ha ormai più di un centinaio di esemplari. Ci ha spiegato cos'è la scala di Scoville, ovvero una classificazione di piccantezza del peperoncino in base alla capsaicina contenuta. Abbiamo degustato, o meglio ci siamo intorpiditi la bocca, con l'Habanero Red Savina, più di 400.000 di gradazione secondo la scala di Scoville, poi i fantastici 3, ovvero Infinity, Naga Viper e Moruga (intorno ai 2.000.000 di gradazione, i tre più piccanti al mondo). Tanto per capirci, il tabasco e il peperoncino calabrese navigano tra i 30.000 e i 50.000.
Arrivati al Moruga, ero talmente abituato che ho chiesto un altro pezzo, in quanto il primo non l'avevo sentito affatto. Però poi mi sono chiesto qual è il grado di piccantezza che un essere umano può sopportare: come ho scoperto scrivendo un racconto del mio libro, tutte le sostanze, se assunte in quantità eccessiva, portano alla morte. La quantità dell'acqua, ad esempio, è circa 24 litri in un giorno.
Ebbene, ho trovato il dato esatto, 13 grammi di capsaicina pura, e per arrivarci bisogna mangiare circa un chilo e mezzo di Habanero Red Savina. Ok, io ero a posto, infatti vi sto scrivendo ora, a giorni di distanza.
Ma, nella mia ricerca, ho trovato una notizia che ha del clamoroso: sembra che un ragazzo sia morto in seguito a una gara di peperoncini con un amico. La notizia è di cinque anni fa, quindi forse la conoscete, ma la riassumo per chi non ne fosse a conoscenza. Un 33enne inglese ha accettato la sfida lanciatagli da un amico, e ha mangiato un'intera cesta di peperoncini che aveva messo da parte per la cena (non li avrebbe usati tutti, suppongo). Ha avuto fin da subito nausea e fitte allo stomaco, e il mattino successivo è stato trovato morto nel letto, pare colpito da infarto.
Charles Darwin gli avrebbe volentieri assegnato il Darwin Award, anche perché pare che il ragazzo avesse fatto degli esami poco tempo prima, ed era risultato sano come un pesce. In pratica, sarebbe un raro caso di avvelenamento da capsaicina.
Tra l'altro è avvenuto in Inghilterra, che dalla creazione dell'Infinity (giudicato per lungo tempo il peperoncino più piccante del mondo) sta recuperando il gap nei confronti del Messico e zone limitrofe, in cui coltivare e mangiare peperoncino è da sempre un'arte.
Quasi quasi prendo una piantina d'Habanero, magari tra una decina d'anni organizzo anche io degustazioni. Senza sfide di resistenza, però.

lunedì 30 settembre 2013

Il mostro di Loch Ness



Oggi vi voglio parlare di un esempio geniale di bufala adattata al campo del giornalismo. Mi sposto quindi in Scozia, precisamente sul Loch Ness, lago famoso ovviamente per "Nessie", il celeberrimo mostro di Loch Ness.
Ora, i complottisti sono ovviamente ancora convinti della veridicità della vicenda, con la creatura, un plesiosauro scampato all'estinzione di massa che ha estinto i dinosauri, che nuota bel bello in acqua, ma c'è molto altro dietro.
Già 500 anni prima della nascita di Cristo, si parlava di una strana creatura che viveva nel lago, una sorta di leggenda come quella dei lupi mannari, dei vampiri e così via. Come ogni leggenda che si rispetti, potrebbe esserci del vero, non lo escludo, ma la maggior parte delle dicerie sono, appunto, dicerie infondate.
Tra immagini sfocate e testimoni sprovvisti al momento di fotocamera, si arriva al 1934, quando Robert Kenneth Wilson scatta la foto più famosa di Nessie. Dopo quell'immagine (che potete vedere allegata al pezzo che state leggendo) il turismo per avvistare il mitico mostro divenne massivo. Si dice che più di un miliardo di euro siano i soldi entrati nelle casse dell'angolo scozzese, sicuramente da visitare perché incantevole, quindi almeno non soldi sprecati.
Molti sono anche i video girati nel corso dei decenni, che però lasciano sempre l'interrogativo sulla reale esistenza di Nessie. Interrogativo al quale il figlio di Wilson ha dato risposta nel 1994, 60 anni dopo: in realtà la foto che ha alimentato come non mai il mito era un falso, un modellino creato apposta dal padre, che aveva confessato sul letto di morte, e da un amico.
Mancava il "movente"? No, perché Robert Kenneth Wilson aveva anche quello: aveva parlato del mostro di Loch Ness al British Museum, ma non era stato preso sul serio dai membri. Di conseguenza, aveva preparato questa foto per fargliela pagare, seppur su commissione di un ente che voleva far aumentare il mito e, quindi, il turismo.
Bene, quindi dopo il 1994, niente più ricerca del mostro? Nemmeno per idea, i complottisti sono duri da convincere: nel 1997, solo tre anni più tardi, venne proposto un premio di un milione e mezzo di dollari per chi fosse riuscito a dimostrare l'esistenza di Nessie. E tutti di nuovo a fotografare e filmare il lago.
La mia idea è che ci sono tanti misteri sulla Terra, tra cui numerose forme viventi in posti poco battuti come l'interno dell'Africa (ci hanno fatto numerosi film, ad esempio questo, e io stesso ci ho scritto un racconto che dovrebbe essere pubblicato presto in un'antologia). In quel lago sarà forse presente una forma di vita poco conosciuta, magari addirittura qualche creatura sopravvissuta ai dinosauri. Ma il mostro di Loch Ness era, e resta, un mito.

sabato 31 agosto 2013

Un tuffo dove l'acqua è più blu



Oggi vi parlerò di calcio. Va be’, non proprio di calcio. Il wrestler Triple H, riferendosi alla saga “Rocky”, ha affermato che Rocky è un film che per caso tratta di boxe. Riguarda davvero i personaggi, la storyline, le relazioni e tutte quelle cose, la boxe è solo lo sfondo.
Allo stesso modo questo pezzo avrà lo sport sullo sfondo, ma parlerà di tutt’altro. In particolare di un tuffo maldestro fatto a Capri da Gonzalo Higuaín, calciatore argentino in forza al Napoli, di cui ha parlato benissimo anche il non plus ultra di questo sport, Diego Armando Maradona, anch’egli vecchia conoscenza napoletana.
Quando vado al mare dove ci sono gli scogli invece che la sabbia, sto sempre ben attento a non tuffarmi senza conoscere il fondo, per evitare appunto disavventure come quella capitata a Higuaín: ha chiuso un bel tuffo con una spaccata (nel senso che si è spaccato) contro uno scoglio poco sotto lo specchio dell’acqua, rimediando 8 punti di sutura. Rendendosi conto dell’immane str... stramberia commessa, non ha polemizzatto e ha avuto parole di elogio per i soccorsi. Potrebbe anche non saltare nessuna partita di campionato, oggi è dato titolare contro il Chievo e credo possa finalmente siglare la sua prima rete italiana, quindi tutto è bene quel che finisce bene.
No. Perché il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, ha avuto l’ancor più brillante idea (come se il tuffo non fosse bastato) di minacciare di chiedere alla regione, all’isola di Capri, al sindaco e alle divinità (di tutte le religioni, non si sa mai) 100 milioni di euro per i danni. Al posto suo avrei citato anche Higuaín stesso: potrebbe non essere stato d’accordo sui diritti d’immagine concessi alla società alla firma del contratto. Se prima di tuffarsi ha esclamato: “E ora voglio vedere come sfrutti la mia immagine!” allora è colpevole.
Sono stato a Capri proprio pochi giorni prima dell’incidente (la foto più su l’ho scattata io stesso) e sulla riva un bimbetto troppo vispo si è provocato un taglietto sul dorso della mano. I genitori avrebbero dovuto chiedere i danni?
Ma De Laurentiis è così: la sua irruenza è non solo la causa delle uscite inopportune, ma anche il motivo per cui il Napoli è così cresciuto negli ultimi anni. Quindi va bene così, basta che non chiuda il turismo sull’isola, perché io ogni tanto ci voglio passare. Altrimenti poi chiedo i danni a lui.

lunedì 29 luglio 2013

When I’m walking a dark road, I am a man who walks alone



Come ho già fatto in altri due post, anche questa volta voglio parlarvi di un episodio vero accadutomi anni fa. Che poi, non è che la mia vita sia fatta esclusivamente di momenti così, io vi narro i più divertenti e/o importanti, ma per la maggior parte del tempo ho una giornata come quella che sta per finire: sveglia, colazione, lavoro, pausa pranzo, lavoro, cena, scrittura di questo pezzo (o in generale di qualcosa), nanna (quello fra poco).
Oggi vi parlo del motivo che mi ha spinto a comperare il mio primo telefonino. Se state pensando “e chissene” vi capisco, in tal caso potete interrompere la lettura.
Siete ancora qui? Mi fa piacere che siate rimasti. Bene, allora proseguo con la narrazione.
All’inizio degli anni 2000 ero l’inviato sportivo per conto di una testata giornalistica regionale della Campania. Andavo quindi a vedere le partite di molte squadre, anche se il massimo era ovviamente il Napoli. Con il senno di poi, non ho capito come io sia arrivato a 25 anni senza telefonino pur facendo il giornalista, ma tant’è.
Andavo allo stadio in automobile, solo che a volte serviva a mio fratello, all’epoca studente e che a volte lavorava di notte, e in tal caso andavo con qualche collega, essendo il mio paese ben distante da Napoli. Per l’ultima giornata della stagione 2003/2004, il Napoli ospitava l’Albinoleffe. Fu l’ultima partita prima del dichiarato fallimento, quindi la passione dei tifosi era ai minimi storici. Mio fratello lavorava, abbisognava della macchina, e io non trovai nessuno disposto a vedere quel che già si sapeva essere il canto del cigno del Napoli nel quale aveva militato anche Diego Armando Maradona.
Non mi persi d’animo e andai ugualmente, ma prima di partire mi organizzai con un amico, tra l’altro il cantante dei Deformed, gruppo di cui ho già parlato sul mio sito ufficiale. All’epoca ero solito far mattina a Napoli, automobile e impegni permettendo, e quindi ci demmo appuntamento in un pub del centro storico a notte inoltrata. Mio fratello mi accompagnò alla partita e poi andò a lavorare.
Mi godetti la partita, poi feci le mie interviste post match e uscii dallo stadio. Purtroppo non avevo beccato nessun amico tra i colleghi (non era una partita di interesse assoluto, diciamo, e molti avevano preferito non andare) e quindi mi incamminai verso il centro, senza la possibilità di contattare nessuno.
Mi resi conto che avevo sottovalutato Napoli di notte: qualche raro autobus passava, ma ero io a non avere idea di quale prendere. Persi un sacco di tempo, avvicinandomi alla meta a piedi e per qualche tratto con i pullman, ed evitando a pelle alcune persone e i vicoli, nonostante di giorno erano le scorciatoie più efficaci. Ma il tempo passava e io, senza cellulare, non sapevo se una volta arrivato a Piazza del Gesù, dove c’era il posto in cui avevo appuntamento con Danilo e altri amici, l’avrei trovato.
Il piano di riserva era passare tutta la notte per raggiungere il luogo in cui lavorava mio fratello, e dato che avrebbe finito all’alba sarei tornato con lui a casa.
Quasi alle due, giunsi finalmente a Piazza del Gesù ma, forse complice la stanchezza, non vidi subito il pub. Iniziai a disperare, quando tutt’a un tratto apparve il pub, mi ci diressi ed entrai. Danilo non c’era.
Pensai: “Ok, è finita, ci ho provato. Ho diverse ore per andare da mio fratello, dovrei arrivarci.” Il pub in questione l’avevo precedentemente visitato solo girando tra un bar e l’altro con relative bevute, quindi non è che ricordassi tutti i particolari, perciò prima di andarmene tornai sui miei passi e visitai ogni anfratto del locale.
A un certo punto sentii una voce inconfondibile e vidi che Danilo c’era. In un angolo buio, ma c’era, con altri amici.
Offrii da bere a tutti, sia per lo scampato pericolo e sia perché da un paio d’ore era scattato il mio compleanno.
Forse nemmeno questo sarebbe bastato per farmi capitolare all’uso del cellulare, forse la svolta fu una frase di Danilo appena ci vedemmo: “Nun t’accattà nu telefonin, m’arraccumann!”
A volte la tecnologia serve. Meno di una settimana dopo ne avevo uno, e da allora è stato molto più pratico chiamare gli amici di notte, invece di attraversare la città in autobus pieni di ubriaconi e strafatti.

sabato 15 giugno 2013

Edizione straordinaria! Un'ecatombe per un attentato terroristico!



Le rare volte in cui vedo un telegiornale (preferisco informarmi attraverso altri canali), se siamo in un periodo nero per quanto riguarda il prezzo del petrolio, noto che non mancano mai gli allarmismi sul prezzo della benzina. Aumenta, sta aumentando, livelli mai raggiunti prima etc.
Ultimamente, però, nessun allarmismo. Sì, ok, qualche notizia negativa ogni tanto non manca, ma i media non se ne stanno più occupando come prima. Perché? La foto che accompagna l’articolo l’ho scattata giusto due o tre giorni fa (il prezzo probabilmente ancora adesso è lo stesso, se non è ulteriormente diminuito) ed è una media dei distributori della mia zona: ho visto anche 1,562 per il diesel, e nessuno più su di 1,59. Perché, quindi, non si parla del prezzo della benzina che scende negli stessi spazi e per lo stesso tempo impiegato per far sapere che, invece, in altri periodi aumenta? Giusto a livello intuitivo, dire che il prezzo raggiunto non si vedeva da due anni presuppone che in quei due anni sia stato minore e più abbordabile, ma se ne è parlato?
Quando, nel giornalismo, si deve dare una rettifica, eticamente dovrebbe essere presente nello stesso spazio occupato della notizia errata data nel numero precedente. Invece questo non accade quasi mai, e lo stesso vale per il prezzo dei carburanti.
A me sembra che si voglia dare risalto a notizie dai toni negativi a discapito di quelle più positive. Se in Italia avviene un omicidio efferato, a fare da giudici sono i presentatori degli approfondimenti televisivi (qualcuno ha detto Michele Misseri?), quando negli stessi spazi e per lo stesso tempo si potrebbe parlare del premio Nobel per la pace, giusto per dire la prima cosa che mi è venuta in mente.
Perché questa cappa opprimente ci viene propinata ogni occasione possibile? Ecco, avrei un paio di risposte anche in tal senso, ma voglio lasciare aperta la domanda per voi lettori e nel caso intervenire. Quindi, secondo voi, perché?
 
P.S. Il titolo non era esatto, nessuna ecatombe. Alla prossima edizione.

venerdì 31 maggio 2013

Il campione (2)


 
Anche adesso, come fatto nello scorso intervento, voglio parlarvi di talenti cristallini e indiscussi. Ci spostiamo nel campo del pattinaggio di short track, e parliamo dell’australiano Steven Bradbury.
Se seguite la Gialappa’s e i programmi “Mai dire *aggiungere qualcosa a caso*”, già conoscete questo valido atleta, arrivato alla medaglia d’oro durante le Olimpiadi invernali 2002 di Salt Lake City. Partiva dai quarti di finale giusto un pelino sfavorito, poi ultimo per la gran parte della gara tranne superare il turno grazie a scorrettezze (e squalifiche seguenti) di altri atleti. In finale l’apoteosi, per cui vi rimando al filmato allegato, ma qui voglio parlarvi di ciò che è successo prima di questi giochi olimpici.
All’inizio degli anni ’90 Bradbury andava a medaglie, seppur nei 5000 metri staffetta, quindi con il merito della squadra intera, e stava effettivamente crescendo, quando è stato colpito da un infortunio gravissimo. Durante la prova di una gara, la lama del pattino di un altro corridore gli causa una profonda ferita, con l’arteria femorale recisa. Perde circa quattro litri di sangue e viene salvato dalla morte solo per la rapidità dei primi soccorsi. Nella sfortuna è molto fortunato, un po’ come nella sua più celebre gara. Dopo 111 punti di sutura e 18 mesi di riabilitazione torna in pista e, mentre si sta preparando ai giochi olimpici di Salt Lake City, un infortunio (si parla di frattura) al collo rallenta moltissimo l'allenamento. Una volta dismesso il tutore, Steven Bradbury decide di proseguire, per vivere alle Olimpiadi invernali quel clamoroso successo immortalato dalla Gialappa’s Band.
E ora, ecco a voi il filmato su Steven Bradbury firmato Gialappa’s.

domenica 28 aprile 2013

Il campione (1)



Ci sono alcuni sport che hanno meno visibilità di altri. Ok, è qualcosa di ovvio, ma non è altrettanto ovvio che campioni, anzi gemme assolute della loro disciplina siano sconosciute ai più. È il caso dell’ucraino Vitali Klitschko e il fratello, pugili, entrambi i quali avrei voluto vederli contro Mike Tyson (altra gemma pura, ma almeno è conosciuto): il fuoriclasse americano, seppur non alto quanto la maggior parte dei suoi avversari, era capace di tener loro testa, e mi sarebbe piaciuto vedere se contro Klitschko avrebbe confermato questa sua qualità o meno.
Vitali Klitschko è campione mondiale dal 2008, e all’orizzonte non si vede chi possa tenergli testa. Il fratello Wladimir, invece, è detentore di numerose cinture mondiali, la più vecchia ce l’ha dal 2006. Praticamente i due fratelli hanno monopolizzato gli incontri per i titoli massimi, peccato che l’abbiano fatto in un’epoca in cui gli incontri di boxe in televisione non hanno lo stesso share di fine anni ’80, quando sul ring il dominatore assoluto era appunto Mike Tyson.
Un altro caso è Anderson Silva, che lotta un altro sport da combattimento, le Mixed Martial Arts, cugina di secondo grado del wrestling (in questo caso i combattimenti non sono predeterminati, nulla di deciso a tavolino). Svolge MMA, categoria peso medio, nella massima federazione mondiale, la UFC, con atleti molto competitivi, tra cui l’unico italiano Alessio Sakara, che conosco e ho intervistato.
Silva è ormai il miglior peso medio del mondo e il primo della classifica “pound for pound”. La sua preparazione, dal jiu jitsu brasiliano, nazione di origine dell’atleta, in poi è molto affascinante, ma il dominio inizia dal 2004, e anche io parto da lì. Nel 2004 firmò per la compagnia Cage Rage, affrontando al debutto, grazie alle credenziali acquisite, il campione dei pesi medi Lee Murray, e strappandogli la cintura. Dall’11 settembre 2004 a metà 2006, quando lasciò la compagnia per firmare con la UFC di Dana White, ha sempre avuto quella cintura alla vita. Anche alla corte di Dana White, l’appuntamento con la cintura è intervallata da un solo incontro “di preparazione”, prima del match per il titolo, la vittoria di ottobre 2006 contro Rick Franklin, durante l’evento UFC 64. A luglio 2013 è atteso dall’ennesima difesa del titolo pesi medi, nel main event della serata UFC 162.
Finora sette anni di regno, mai interrotto, ma nove anni praticamente continui con la cintura pesi medi, compresi i due anni di dominio nella Cage Rage. Imbattuto nella UFC, ha avuto la meglio anche quando ha affrontato atleti della categoria medio-massimi, il che dimostra una volta in più la superiorità della sua preparazione, delle motivazioni e quant’altro, una volta entrato nell’ottagono.
Anche in questo caso, peccato che in Italia le MMA non abbiano la copertura televisiva americana, perché in America tutti si sono accorti dell’eccezionale bravura di Anderson Silva nella sua disciplina.

domenica 31 marzo 2013

Il fumo sicuro (ovvero fumare sicuramente)



Questa volta voglio parlarvi della sigaretta elettronica. Si fa un gran parlare della nuova invenzione, fumare in maniera sicura una miscela di acqua e nicotina, evitando pericoli derivati dal fumo “tradizionale”, mentre ultimamente si moltiplicano gli studi che attestano il fatto che anche le sigarette elettroniche facciano male. In pratica, si evitano i problemi al cuore ma non quelli classici, i polmonari, e si è a rischio tumore in egual modo. La qual cosa tra l’altro era intuibile: pare che non siano mai stati fatti studi approfonditi sulle conseguenze dell’uso della sigaretta elettronica prima del lancio sul mercato, quindi usarla equivale comunque a un salto nel buio. Ma i nuovi (primi) studi attestano che in pratica non è cambiato nulla.
O meglio, qualcosa è cambiato: il modo di fumare e la frequenza. Almeno fino a poche settimane fa, dato che molti amici che erano passati alla geniale invenzione stanno tornando sui loro passi, riprendendo i vecchi tubicini, stavolta pieni di tabacco.
Ma, dicevo, fino a poche settimane fa notavo un cambiamento netto nel modo di fumare. Alcuni amici che fumavano una decina di sigarette al giorno passarono alla sigaretta elettronica. Orbene, il passaggio serve a non fumare o comunque fumare di meno, giusto? Ma gli usatori della sigaretta elettronica, ed è questo lo snodo, non fumavano meno, piuttosto fumavano di più.
“Spalmiamo” 15 sigarette in un giorno: togliendo 8 ore notturne (la mia percezione è che si dorma molto meno, ma potrei sbagliarmi, quindi diciamo 8) restano 16 ore. Approssimativamente una ogni ora. Una sigaretta dura 5-10 minuti, restano 50 minuti senza fumo. Mi state seguendo?
Ma gli amici che fumavano la sigaretta elettronica, complice il fatto che poteva esser fumata dappertutto, non stavano mai, e dico mai, 50 minuti senza fare qualche tiro. Qualche mese fa ero a una cerimonia, prima in chiesa, poi al ristorante etc etc, e queste persone fecero diversi tiri (di nascosto, per quanto possibile) anche durante la messa. La cosa non mi dà fastidio, il punto è che se prima queste stesse persone un po’ resistevano al richiamo del fumo, con l’avvento dell’elettronica hanno perso ogni freno inibitore. Restando alla cerimonia, a fine giornata, direi che per frequenza di tiri avevano fumato molto più di 15 sigarette, tra un canto in chiesa e il vangelo, tra una foto e un brindisi, tra un boccone e l’altro e così via.
La nicotina dà dipendenza in misura maggiore rispetto alla cocaina, all’eroina e ad altre sostanze, e se c’è una cosa che la sigaretta elettronica ha dimostrato è proprio questa.

mercoledì 13 febbraio 2013

Io sono Leggenda




Negli ultimi giorni mi sono trovato a spiegare quest’episodio capitatomi ai tempi dell’università (detto in questo modo sembra che io l’abbia fatta trenta anni fa, ma non è così) a due gruppi diversi di persone che non si conoscevano fra loro. Ho quindi capito che è arrivato il momento di raccontarlo anche a voi, o fedeli lettori, anche se ometterò i nomi per privacy (e per evitare guai, non sai mai che può succedere). Corrisponde tutto a realtà, credeteci. E se non ci credete posso farvi vedere il libretto universitario della Federico II di Napoli.
Una mattina io e gli altri del mio corso dovevamo fare il parziale di un esame, e con nostra gioia scoprimmo che si trattava di uno scritto a risposte multiple. L’esame intero era corposo e il professore volle venirci incontro con qualcosa di semplice. O meglio, gli altri lo scoprirono prima di me, perché i mezzi pubblici fecero un piccolo ritardo e io arrivai in aula che stavano praticamente per cominciare. Il professore mi mise in prima fila, come gli abbonati SKY, solo che io ero un po’ meno contento.
Mi guardai indietro mentre mi sedevo: eravamo in pochi, dietro di me due file vuote e infine tutti i miei compagni. Va bene, almeno tento e vedo com’è l’esame, la prossima volta lo supero fu quello che pensai: la speranza è l’ultima a morire ma nel mio caso un proiettile vagante l’aveva beccata all’arteria femorale, quindi...
Passano i minuti, tento invano di contattare i miei compagni a distanze siderali, rispondo ad alcune domande, le più semplici, quando i primi secchioni cominciano a consegnare. Vedo il professore che, ogni volta che uno studente consegna, prende un foglio e confronta le risposte.
In guerra, quando si era in trincea non si accendevano tre sigarette con lo stesso fiammifero: il nemico alla prima sigaretta prendeva il fucile, alla seconda trovava il bersaglio e alla terza faceva saltare la testa dell’ultimo, e sfortunato, soldato a usufruire del fiammifero.
Alla prima consegna, capii di che foglio si trattava, alla seconda vidi se le mie risposte sicure erano le stesse di quel foglio e dalla terza in poi copiai a macchinetta: 1B, 2D, 3A etc etc.
Fui l’unico a prendere 30 a quel parziale, il che mi diede un ottimo biglietto da visita per i parziali successivi, e poi riuscii in un’impresa proibitiva: copiare dal professore... Ne parlai con i miei compagni e tra noi divenne una battuta scacciacrisi, a ridosso degli esami, dire al massimo copiamo dal professore, ma nessun altro lo sapeva. Almeno così credevo.
Due anni dopo diedi con pieno successo qualche dritta a un amico per farlo entrare nel mio corso di studi, dato che gli piaceva la materia. Venne ammesso anche lui alla Federico II di Napoli, e dopo un po’, si trovò alle prese con lo stesso esame di cui vi ho parlato, e pochi giorni prima di darlo ci trovammo a parlare.
“Non so niente, speriamo ci faccia fare lo scritto. Sai - abbassò la voce - mi servirebbe quello che si dice sia successo a uno studente anni fa, che copiò dal professore e prese 30.”
“Ah... Guarda che ero io quello studente.” Mi guardò come si guarderebbe un alieno, anzi no, Chuck Norris.
“Ma davvero?! E come hai fatto???”
Ero diventato una leggenda, e probabilmente lo sono ancora tra quanti si apprestano a fare quell’esame (il professore non credo sia cambiato, almeno fino all’anno scorso era sicuramente lo stesso). Ora so come si sente Re Artù.
Inchinatevi al Re.

P.S. Se non li avete riconosciuti, la canzone è dei Motorhead, “King of Kings”.



giovedì 31 gennaio 2013

L'Orologio dell'Apocalisse



In questi giorni sto ascoltando diversi album degli Iron Maiden, godendomi la voce di Bruce Dickinson che in alcuni pezzi, come “Bring your daughter... To the slaughter”, raggiunge un’estensione davvero notevole. Un altro pezzo molto rappresentativo è senz’altro “2 minutes to midnight”, datato 1984, che mi ha portato a rileggere e riscoprire il cosiddetto Orologio dell’Apocalisse.
Quest’orologio, puramente simbolico, è stato creato nel 1947 dagli scienziati del Bulletin of the Atomic Scientists dell’Università di Chicago, e serve da allora a segnalare quanto siamo vicini alla fine del mondo a causa delle armi atomiche. C’è da dire che venne creato appunto per tenere alta la tensione su questo problema e per evitare, per quanto possibile, di raggiungere la mezzanotte, ma il fatto che non sia andato mai più in là delle 23.43 dà da pensare.
Innanzitutto, come funziona? Nel 1947 gli scienziati dettero un’ora d’inizio, fissata alle 23.53 calcolando il boom di quegli anni delle armi nucleari. Ogni azione dell’uomo, dai patti di non belligeranza alla corsa per sviluppare l’apparato bellico, fanno scattare l’orologio in avanti o indietro. Tra il 1949 e il 1960, l’orologio si spostò dapprima sulle 23.57 e poi sulle 23.58 (appunto “2 minutes to midnight”), fino a quando il presidente americano John Fitzgerald Kennedy firmò il Partial Test Ban Treaty, che tentò di mettere al bando i test nucleari.
Da allora, il su e giù dell’orologio ci ha portati all’attuale 23.55, con un nuovo fattore che regola l’ora dal 2007: l’inquinamento atmosferico. Non a caso lo scarto alla mezzanotte dal 2007 a oggi è diminuito di due minuti. Ora, perché nonostante quest’indice di pericolo, unito ai sempre più allarmanti bollettini tecnici, si faccia davvero poco per rendere più salubre l’aria terrestre è la vera domanda.
A cui peraltro non c’è risposta, o meglio ce ne sarebbe una sola, brevissima: soldi. Ma l’estinzione della razza umana, a cui la mezzanotte porterà, cadrà anche su coloro che lucrano su questo settore, per cui non sembra una risposta sufficiente. Io credo che l’uomo stia perdendo l’istinto di autoconservazione, e se fra le persone comuni ciò è appena percettibile, non lo è altrettanto tra le persone cosiddette “di potere”, le cui scelte sono chiaramente deleterie per la Terra stessa.
La razza umana, a mio modesto avviso, ha fallito. E dato che tra noi e gli altri animali la differenza è nella capacità di immagazzinare informazioni che porta, con l’esperienza, a quella che chiamiamo “intelligenza”, forse il problema è lì. I gatti, ad esempio, hanno una memoria di pochi mesi: al di là di link zuccherosi su Facebook, da diabete puro, le madri stesse non riconoscono i figli dopo poco più di tre mesi e restano uniti solo perché, nel loro essere limitati, capiscono che l’unione fa la forza.
Però la mancata intelligenza li porta a non voler creare armi di distruzione di massa, quindi di chi è la vera superiorità?