giovedì 22 dicembre 2022

Di Neom, balenottere, Mondiale in Qatar. E soldi


Una delle cose maggiormente peculiari, quando si affronta il tema del riscaldamento globale e del cambio climatico, è che bisogna fare qualcosa, ma subito, adesso. E le mosse per salvare il genere umano difatti ci sono...

Ad esempio, la creazione di una città di 26.500 km², nel deserto dell’Arabia Saudita, che avrà al suo interno due montagne artificiali. A cosa serviranno? Facile, a disputarci i giochi invernali asiatici del 2029. Nel deserto. Anzi, su due montagne costruite ad hoc e innevate artificialmente per tutto il tempo necessario.

Neom, che stando alle previsioni sarà alimentata solo da energie rinnovabili (la mole di energia che serve per una cattedrale, anzi una città nel deserto mi sembra qualcosa di proibitivo, ma vedremo), sarà estesa appunto su 26.500 km² (New York, la Grande Mela, per capirci è estesa “solo” 783 km², immaginate quindi 33 New York una addossata all’altra, per formare il megaquadrato che servirà a Neom). Costerà 500 miliardi di dollari (500.000.000.000 dollari), e avrà uno sbocco sul mare appena percettibile, 170 km di costa sul Mar Rosso. La cosa più bella è che l’Arabia Saudita ha sì vinto la corsa per ospitare i giochi invernali, ma Neom deve essere costruita a tempo di record. Perché adesso non esiste ancora.

Il che ci porta al Qatar, che ha recentemente ospitato i Mondiali di calcio. Quanto è costato organizzarli? 221 miliardi di euro. Per farvi capire quanti sono, al secondo, terzo e quarto posto dei costi più alti per nazione che ha ospitato i Mondiali di calcio ci sono Brasile 2014, con 15,7 miliardi, Russia 2018 con 11,7 miliardi, e Corea-Giappone con 7 miliardi. Se, a ogni modo, tutte le cifre spese per tutti gli altri Mondiali venissero sommate, il Qatar avrebbe comunque il primato da sola di spendacciona. Almeno sono serviti come palcoscenico che ha visto l’Argentina e Lionel Messi alzare la Coppa del Mondo.

È solo una questione di soldi, allora? Non proprio. Va da sé che un’alta montagna innevata in Arabia sia deleteria per la migrazione degli uccelli e le forme di vita che fino a ieri stavano in quel punto, desertico. La vita come la conosciamo viene danneggiata da strutture del genere, senza alcun dubbio.

Un dato, un numero preciso, potrà forse farvi capire meglio. Sapete cos’è l’Earth Overshoot Day, il cosiddetto giorno del debito ecologico? In pratica, ogni inizio anno viene calcolata l’energia che può dare la Terra alle forme di vita che contiene. In teoria, l’uomo dovrebbe amministrare le risorse per finire tutto esattamente il 31 dicembre a mezzanotte, se non oltre, senza dunque finirle affatto. Invece, anno dopo anno l’Earth Overshoot Day è venuto sempre prima. Nel 2022 è caduto il 28 luglio, ovvero dal 29 luglio abbiamo preso energie dalla Terra che la usurano, passo dopo passo, causando problemi come i violenti acquazzoni che portano a inondazioni, morti e feriti. È un modo che usa la Terra per ricaricarsi, liberandosi da ciò che c’è sopra e che la danneggia. Noi.

Ma il giorno del debito ecologico è uguale dappertutto? Ovviamente no, in Tibet arriva dopo rispetto alla più industrializzata America. Qualche esempio? La nostra Italia ha avuto l’ora X il 15 maggio, mentre in Siria, Senegal e Nepal non è ancora arrivato. Se la Terra fosse il Nepal, sarebbe in forma smagliante. E se fosse l’Arabia Saudita? Ci vorrebbero tre Terre per tollerarne l’uso di energia, dato che in Arabia l’Earth Overshoot Day è arrivato il 27 aprile. E se la Terra fosse tutta come il Qatar? Allora ci vorrebbero ben 9, nove, Terre, perché il giorno del debito ecologico in Qatar è arrivato il 10 febbraio. Per fortuna, un altro primato, anche se il Lussemburgo l’ha quasi superata, avendo il suo giorno del debito il 14 febbraio.

Greta Thunberg quindi ha ragione? Ovvio, ma di fronte all’ultima notizia di cui vi do conto non so quanto serva. Tra il 2020 e il 2021 venne scoperta una nuova specie di balenottera, la Balenottera di Rice (balenottera ricei) nel Golfo del Messico. Venne catalogata, registrata e vennero cercati altri esemplari... 51 in tutto. Per capirci, i cinghiali che infestano le città come Roma, in tutto il mondo sono oltre i due milioni, mentre i leoni sono 20.000 e sono a forte rischio estinzione, figuratevi se fossero stati 51.

 

Ma cosa ha portato alla singolare scoperta (per un esemplare in fuga che è finito spiaggiato) e all’ancor più singolare rischio di estinzione della specie? L’industria petrolifera e quella del gas. È stato anche chiesto al presidente americano, il democratico Joe Biden, di diminuire l’apporto umano in una zona così piena di vita, ma per ora il presidente ignora le richieste. Per poche decine di balenottere, in fondo... Peccato che sia solo l’ennesimo campanello d’allarme che ci manda la Terra.

domenica 5 aprile 2020

Meghan Markle vola negli Stati Uniti: è la Megxit 2?


di Elisabetta Esposito

La definiscono così i tabloid britannici, tra cui il Sun, che afferma come questa mossa abbia lasciato “sbalorditi e inorriditi” i membri della Royal Family. Prima che i voli dal Canada agli Stati Uniti fossero cancellati, Meghan, il Principe Harry e il piccolo Archie Harrison pare si siano trasferiti a Los Angeles in via definitiva, lasciando così la loro casa sull’isola di Vancouver.
Stando alle dichiarazioni rilasciate da una fonte anonima, i duchi di Sussex avevano già pianificato questa scelta da tempo: si sarebbero resi conto che il Canada non faceva al caso loro per una serie di ragioni e avrebbero deciso di stabilirsi nell’area di Los Angeles, dove poter lavorare e avere una rete di protezione parentale - poiché lì vive anche la madre di Meghan, Doria Ragland - e amicale. Inoltre è lì che si trovano agenti di Hollywood e pr. Nel Regno Unito molti pensavano invece che i Sussex sarebbero rientrati in patria, almeno nel periodo di emergenza dovuto al coronavirus, per stare vicini ai propri parenti, tra cui il Principe Carlo che è stato contagiato.
Intanto pare che la duchessa sia stata ingaggiata dalla Disney per il doppiaggio di un film benefico sugli elefanti. Alcuni pensano sia la conseguenza del colloquio avuto un anno fa da Harry con il capo della Disney Bob Iger, durante la première del film live action de “Il re leone”. La nuova pellicola sugli elefanti raccoglierà fondi per l’ente Elephant Without Borders e potrebbe essere il trampolino di lancio per Meghan a Hollywood. Meghan sarebbe tra l’altro al lavoro su un libro per bambini.
I tabloid, ora che i Sussex pare siano a Los Angeles, hanno dato vita a un gioco di parole relativo a Harry. Nella metropoli californiana c’è infatti un quartiere chiamato Bel Air, dove è stata ambientata una sit com con Will Smith molto celebre negli anni ’90, “Willy il principe di Bel Air”, il cui titolo originale è “The Fresh Prince”. Il nome del quartiere è diventato nei titoli dei tabloid quindi “Bel Heir”, cioè “erede”, dato che Harry è un principe ed è sesto nella linea di successione al trono britannico.
Lo scandalo però è servito e non riguarda le ambizioni di Meghan, ma il fatto che la coppia abbia disatteso una scelta iniziale di vita: per i sudditi britannici, il Canada rappresentava un modo per i Sussex di restare comunque all’interno della Royal Family, vivendo in un Paese che fa parte del Commonwealth. Ora che si sono trasferiti negli Stati Uniti, cambierà qualcosa negli accordi per la Megxit stretti con la Regina Elisabetta II?

domenica 1 marzo 2020

Coronavirus, la vera natura del contagio


In questi giorni ho letto e visto qualcosina sul tema caldissimo, bollente, del momento, il Coronavirus. Ho atteso un po’ per scriverne, attendendo il momento giusto. Ed è questo.
Sì, perché il numero quotidiano di morti in Cina è in diminuzione dall’inizio del contagio. In Italia, restando alle cose di casa nostra, i primi pazienti registrati a Roma sono guariti, facendo arrivare a quasi 50 il numero totale, e diminuiscono i nuovi casi quotidiani scoperti. A questo punto, se a ogni azione corrisponde una reazione, dovrebbe diminuire la paura di ammalarsi di un virus mortale, almeno in Italia dove si contano 650 casi accertati. Che poi pure definirlo mortale è un tantino eccessivo: risulta letale per poco più del 2% dei contagiati, ciò significa che il 98% guarisce. Un morto non è mai un numero, non dobbiamo perdere l’umanità, ma riporto la percentuale perché abbiamo avuto altri virus più pericolosi in tempi recenti, dalla SARS all’Ebola, per citarne due, e non ricordo una psicosi di massa di questa portata.
Allora perché il Covid-19 fa così tanta paura? C’è a mio avviso un secondo contagio, molto maggiore del primo: quello da social network, da notizie riportate volutamente in modo distorto, da politici che chiedono di chiudere i porti, come se da qualche giorno sui barconi diretti in Italia ci fossero orde di cinesi malati.
Ma, a parte gli allarmismi provocati da altri, come mai l’italiano sta reagendo in maniera così enfatizzata già di suo? “Sessantenne controllato per sospetto Coronavirus” nella propria regione diventa, alle orecchie dei corregionali, “MORIREMO TUTTI! TUTTI!”
Tra l’altro, originale e a tratti suicida il modo in cui si è diffuso (e continua a diffondersi) il contagio in Italia, rispetto ad altre nazioni. Facciamo un esempio: nella cosmopolita Londra nessun caso fino a tempi recentissimi. Poi hanno cominciato a fare i tamponi e in 3, 2, 1 i primi casi acclarati e il primo morto accertato. Dato che è improbabile che questo tizio aspettasse che gli riconoscessero il Covid-19 per morire, direi che ci sono stati tanti altri casi prima. Ma, adesso che è stato appurato che il Coronavirus è “atterrato” in Inghilterra, la popolazione risponde in modo corretto.
In Italia il primo contagiato, l’ormai famoso paziente uno, è andato in giro, ha incontrato gente, ha visitato i dipendenti di cui è manager. Dopo contatti con centinaia di persone, gli è venuto in mente di avvertire che forse poteva essere malato di Coronavirus. Bene, ma almeno poi la cosa è stata limitata al Nord, specialmente a Codogno, scopertasi la nuova capitale nazionale, dato che tutti passano da lì, neanche fosse Medjugorje. Tutti i casi dubbi in quarantena, paesi interi, ma sarebbero bastati 14 giorni e tutto sarebbe finito.
E invece no. Perché c’è stata una diaspora, molti abitanti di Codogno e altri paesi a rischio sono fuggiti al Sud, dove si trovano genitori o altri parenti, mettendo l’Italia a rischio pandemia. Quindi, un popolo che si comporta così può mai capire quando è ora di preoccuparsi lievemente per quella che di fatto è un’influenza, e quando farsi prendere dal terrore più nero?
A ogni modo, come altre influenze andrà via, e gli affari grossi li avranno fatti i supermercati, presi d’assalto e che hanno registrato vendite altissime, per non parlare dei dati d’acquisto dell’Amuchina o delle mascherine. In fin dei conti, non saprei dire se è maggiore il contagio della paura, di chi crede di morire fulminato se si ammala e va a fare la spesa nemmeno fossimo a Chernobyl nel 1986, o quello della stupidità, di chi fugge da zone in quarantena e si reca in luoghi non ancora infetti, ma senz’altro è minore il contagio del virus in sé.

mercoledì 22 gennaio 2020

The Spy, la leggenda di Eli Cohen approda su Netflix


Qualche settimana fa, spinto dal fatto che “The Spy”, come “Chernobyl”, è una serie autoconclusiva di poche puntate (5 per Chernobyl, 6 per The Spy), mi ci sono dedicato. La presenza di Sacha Baron Cohen nel ruolo della spia Eli Cohen ha avuto ulteriore peso: non solo ero curioso di vederlo in un ruolo serio, ma cerco di seguirlo dopo che mi ha sorpreso nel film “Il dittatore”, con alcuni scambi geniali sulla natura dell’uomo mascherati da comicità demenziale.
Il ritmo, come per Chernobyl (premiato recentemente con due Golden Globe, tra cui quello di miglior miniserie dell’anno), è velocissimo. L’israeliano Eli Cohen diventa una spia in terra siriana, dopo i primi contatti in Argentina per costruirsi una storia personale, avvicinando personalità in vista della Siria. Il nome sotto copertura, Kāmil Amīn Thābit, gli si cuce pian piano addosso come i vestiti firmati che gli procurano per entrare nelle grazie dei vertici politici e militari. Il fedele rapporto con la moglie lo porta a destare qualche sospetto, quando si tiene lontano da donne siriane per un tempo troppo lungo, sentendo la mancanza della donna che ama e delle due figlie. Nel momento in cui gli viene consigliato dal Mossad, l’agenzia di intelligence di Israele per cui lavora, di sposarsi, come Kāmil Amīn Thābit, con una donna del luogo, il confine tra la vita da spia e quella da Eli Cohen, marito e padre amorevole, si fa labile e contribuisce alla scoperta e alla cattura. Le doti attoriali di Sacha Baron Cohen, come peraltro mi aspettavo, sono completamente promosse, e continuerò a seguirlo nei prossimi film.
Scrivere che viene catturato non è uno spoiler: la prima puntata si apre con lui in carcere, in procinto di andare verso la pena capitale. In ogni caso la storia di Eli Cohen è ben nota e lo pone di fianco a spie del calibro di Mata Hari, che è stata attiva per molto meno tempo ed è stata catturata per un doppio gioco che stava per diventare triplo poco prima dell’arresto.
Eli Cohen, invece, fedele al Mossad e alla causa israeliana, si è fatto spazio dal 1961 al 1965 fino a diventare viceministro siriano, quindi con una mole di informazioni pressoché infinita da comunicare. Le conseguenze delle sue azioni vengono pagate ancora oggi da una Siria rivoltata come un calzino da Cohen, tanto che il governo locale ha voluto prendersi una rivincita tardiva e, a mio modo di vedere, abbastanza puerile: a nulla valsero le richieste di grazia da parte di vari capi di stato, e perfino da Papa Paolo VI, e venne impiccato nel maggio del 1965. Ebbene, da allora, 55 anni fa, il corpo non è mai stato restituito alla moglie o alle figlie, nonostante gli impegni, le promesse, e la dedizione alla causa della moglie, attiva ancor oggi in tal senso.
Alcune differenze tra realtà e serie TV distribuita da Netflix ovviamente non mancano, ma gli autori, il regista Gideon Raff e gli attori hanno a mio modo di vedere coperto i punti oscuri. Sono plausibili alcuni comportamenti di Eli Cohen nel suo appartamento e nella vita pubblica in Siria, le cui sfumature non arrivavano a Israele, interessata principalmente alle informazioni segrete. Ne esce un ritratto completo che val la pena vedere, anche se siete solo interessati alla serie TV e non a spulciare la storia vera.

giovedì 19 dicembre 2019

The Man in the High Castle, la fine di tutto


Qui sotto non troverete spoiler, tranne il pezzo finale, anticipato da un chiaro e palese avvertimento. Proseguite senza paura.

Dopo sole quattro stagioni (avrebbe meritato qualcosa in più per sviluppare meglio il finale, a tratti un pizzico veloce) si chiude la storia di The Man in the High Castle, la serie TV Amazon su un mondo distopico in cui Hitler e il nazismo hanno vinto la seconda guerra mondiale, grazie all’asse con il Giappone, e insieme hanno invaso e occupato gli Stati Uniti d’America. Il soggetto originale proviene dal libro “La svastica sul sole” di Philip K. Dick, conosciutissimo scrittore americano che ha spesso trattato la fantascienza, l’ideatore del telefilm è invece Frank Spotniz, celebre per il lavoro eccellente fatto su “X-Files”, diventato ormai ben più di una semplice serie TV.
Come ho accennato, a tratti un tantino veloce, la difficile ma a suo modo affascinante storia sulle dittature ha bisogno di respiro, tanto respiro. Ciò che avviene quando una dittatura si instaura segue regole più o meno standard, almeno quelle legate alla resistenza (che esiste in automatico, come conseguenza alle continue vessazioni dittatoriali). Gli oppositori si muovono nell’ombra e, qualsiasi cosa accada, prendono sempre più forza e si preparano giorno dopo giorno a sovvertire il regime.
Su questi topoi si muove anche The Man in the High Castle, che tra Juliana Crain e Wyatt Price per la Resistenza, l’ispettore Kido per i giapponesi e John Smith per i nazisti (interpretato da Rufus Sewell, che già conoscevo per il ruolo del cattivo in “The Illusionist”) muove le pedine in modo quasi perfetto. Tutti cambiano e maturano col tempo, e guadagnano il loro picco finale che tengono bene grazie alle doti attoriali. Se non l’avete ancora visto, approfittatene ora che è finito e cominciate.

* Da qui spoiler su un personaggio, non proseguite se non avete visto la quarta stagione.

Riguardo i cambiamenti dei personaggi e gli eventi che accadono a ognuno, devo dire che mi ero affezionato a Robert Childan, il proprietario del negozio d’antiquariato. La sua è una vera e propria epopea: da onesto commerciante a uomo che deve nascondersi e mangiare topi, poi riprende il controllo della sua vita, per ricadere in nuovi e più gravi problemi dovuti al regime. Quando tutto sembra perduto viene riabilitato ma, a quel punto, vuol seguire la neo moglie giapponese nel suo paese. E qui l’ultima caduta, che sembra fatale per il lieto fine di Childan. Per fortuna, grazie alla sua esperienza come commerciante, in extremis il lieto fine c’è. Almeno per lui.

domenica 20 ottobre 2019

Diego Armando Maradona, i numeri del numero 10


Diego Armando Maradona, el Pibe de Oro, il numero 10 per eccellenza, il calciatore più grande della storia, se non da solo, almeno in coabitazione con Pelé. Non ha certo bisogno di presentazioni, anche per le gesta che gli italiani e i napoletani in particolare ricordano, quindi passando oltre voglio prendere in esami alcuni numeri su cui riflettevo in questi giorni.
Arrigo Sacchi, allenatore con il quale l’Italia ha quasi vinto il Mondiale 1994, arrendendosi solo ai rigori al Brasile in finale, ha detto di lui che è l'unico calciatore che, da solo, poteva far vincere una partita alla sua squadra e cambiarne il volto. Ebbene, numeri alla mano è esattamente così. Partiamo dalla sua carriera in Italia, all’ombra del Vesuvio dopo che l’allora presidente Ferlaino riuscì a portarlo a Napoli dal 1984 al 1991: la Società Sportiva Calcio Napoli vanta (oltre a cinque Coppe Italia e due Supercoppe italiane) una coppa europea, la Coppa Uefa, e due scudetti, vinti tutti tra il 1987 e il 1990 (oltre alla prima Supercoppa italiana nel 1990/1991, tra l’altro). E, aggiungo en passant, il Napoli avrebbe ben meritato un terzo scudetto in questi ultimi campionati, ma si è trovato sempre di fronte una Juventus imbattibile; inoltre, la semifinale della Coppa Uefa 2014/2015 persa contro la debuttante (a quei livelli) Dnipro grida ancora vendetta, dato che per tutti il Napoli era la squadra favorita per vincere la coppa europea. Difatti il Dnipro perse poi in finale con il Siviglia mostrando tutta la sua inesperienza.
A ogni modo, se al Napoli è sempre mancato qualcosa tranne quando c’è stato Maradona, alla nazionale argentina, nelle competizioni del Mondiale di calcio, non è andata meglio. La Selección ha in bacheca due Mondiali, uno nel 1978 (Maradona era ancora giovane, ma già impegnato a vincere i Mondiali di calcio under 20 l’anno successivo). Ma, negli anni in cui ha espresso il miglior calcio, Diego Armando Maradona ha un tabellino di marcia senza precedenti nei Mondiali. 1986: Argentina vincitrice, grazie anche a Inghilterra-Argentina 1-2, due reti di Maradona iconiche, ovvero la Mano de Dios e il Gol del Secolo, premiato come tale dalla FIFA. 1990: Argentina seconda (in Italia) dopo aver perso la finale 1-0 con un rigore dubbio, si dice anche dovuto a un arbitraggio di proposito sfavorevole dopo che l’Argentina aveva eliminato proprio l’Italia in semifinale. 1994: prime due partite di girone, due vittorie per la Selección. Poi Maradona venne beccato dall’antidoping, squalificato, le successive due vennero perse dall’Argentina che andò fuori dalla competizione.
Questi numeri, a mio avviso, li fa solo chi, come detto da Sacchi, fa la differenza da solo. Cosa non riuscita a Lionel Messi o a Alfredo Di Stéfano, due altre figure calcistiche argentine d’indubbia bravura, che non possono fregiarsi di un Mondiale vinto.
Cosa ne pensate? E avete altri numeri da proporre, sia a favore che a sfavore della causa?

venerdì 20 settembre 2019

Glow, il wrestling femminile spopola (in una serie TV, su Netflix)


Ho terminato da qualche settimana la visione della terza stagione di Glow, la serie TV Netflix che, sembra, al momento attuale non è stata ancora rinnovata per una quarta stagione. Come ho accennato più volte, preferisco evitare i telefilm in genere perché da un film entri ed esci in due, tre ore, mentre una serie TV (facciamo un esempio) di otto stagioni, ognuna con 10 puntate da un’ora, occupano 80 ore libere. Che, tendenzialmente, non ho.
Ma per Glow, come con altre (The OA, The Big Bang Theory, X-Files, The Man in the High Castle e qualcos’altro) ho fatto una rara eccezione, perché mi hanno incuriosito. Nella fattispecie, ho visto Glow da amante del wrestling di lungo corso. Alcuni degli eventi narrati sono fedeli alla realtà della nascita del wrestling femminile (la Gorgeous Ladies of Wrestling è esistita alla fine degli anni ’80), e di quello maschile anche, quando ci si stava organizzando e regnava il caos. Basti pensare, facendo un caso relativamente recente, alla ECW e al caso Mass Transit del 1996, un ragazzo preso letteralmente dal pubblico per svolgere un match, e in cui rischiò di morire dissanguato.
La storia delle ragazze, da ciò che si vede sul ring alle dinamiche dietro le quinte, appassionano e tutti i personaggi lasciano qualcosa allo spettatore. C’è però un punto che non mi convince: proseguire a oltranza la serie perché è vista da un buon numero di persone. Sembra (non mi ci sono mai avvicinato perché non finisce mai) che Game of Thrones abbia scontentato parte del pubblico con alcune scelte delle ultime stagioni, e secondo me si rischia di fare lo stesso con Glow. Inoltre, un match di wrestling si conclude al conteggio di tre, come fatto notare dal video pubblicitario che ha accompagnato il lancio della terza stagione. Quindi, “poeticamente”, il conteggio di tre è finito, e con esso si dovrebbe dare un punto alla storia televisiva. Invece, proprio da poche ore è stata rinnovata per una quarta e, sembra, ultima stagione. Certo, il finale aperto e gli ascolti hanno portato a questa scelta, ma andando molto oltre ci si addentrerebbe su un terreno minato. Meglio lasciar vivere la propria vita immaginaria a queste ragazze, da Ruth alle altre.
Almeno questo è il mio pensiero, beninteso, anzi se volete dirmi la vostra fatelo nei commenti, per messaggi privati o dal vivo, scegliete voi.