domenica 1 marzo 2020

Coronavirus, la vera natura del contagio


In questi giorni ho letto e visto qualcosina sul tema caldissimo, bollente, del momento, il Coronavirus. Ho atteso un po’ per scriverne, attendendo il momento giusto. Ed è questo.
Sì, perché il numero quotidiano di morti in Cina è in diminuzione dall’inizio del contagio. In Italia, restando alle cose di casa nostra, i primi pazienti registrati a Roma sono guariti, facendo arrivare a quasi 50 il numero totale, e diminuiscono i nuovi casi quotidiani scoperti. A questo punto, se a ogni azione corrisponde una reazione, dovrebbe diminuire la paura di ammalarsi di un virus mortale, almeno in Italia dove si contano 650 casi accertati. Che poi pure definirlo mortale è un tantino eccessivo: risulta letale per poco più del 2% dei contagiati, ciò significa che il 98% guarisce. Un morto non è mai un numero, non dobbiamo perdere l’umanità, ma riporto la percentuale perché abbiamo avuto altri virus più pericolosi in tempi recenti, dalla SARS all’Ebola, per citarne due, e non ricordo una psicosi di massa di questa portata.
Allora perché il Covid-19 fa così tanta paura? C’è a mio avviso un secondo contagio, molto maggiore del primo: quello da social network, da notizie riportate volutamente in modo distorto, da politici che chiedono di chiudere i porti, come se da qualche giorno sui barconi diretti in Italia ci fossero orde di cinesi malati.
Ma, a parte gli allarmismi provocati da altri, come mai l’italiano sta reagendo in maniera così enfatizzata già di suo? “Sessantenne controllato per sospetto Coronavirus” nella propria regione diventa, alle orecchie dei corregionali, “MORIREMO TUTTI! TUTTI!”
Tra l’altro, originale e a tratti suicida il modo in cui si è diffuso (e continua a diffondersi) il contagio in Italia, rispetto ad altre nazioni. Facciamo un esempio: nella cosmopolita Londra nessun caso fino a tempi recentissimi. Poi hanno cominciato a fare i tamponi e in 3, 2, 1 i primi casi acclarati e il primo morto accertato. Dato che è improbabile che questo tizio aspettasse che gli riconoscessero il Covid-19 per morire, direi che ci sono stati tanti altri casi prima. Ma, adesso che è stato appurato che il Coronavirus è “atterrato” in Inghilterra, la popolazione risponde in modo corretto.
In Italia il primo contagiato, l’ormai famoso paziente uno, è andato in giro, ha incontrato gente, ha visitato i dipendenti di cui è manager. Dopo contatti con centinaia di persone, gli è venuto in mente di avvertire che forse poteva essere malato di Coronavirus. Bene, ma almeno poi la cosa è stata limitata al Nord, specialmente a Codogno, scopertasi la nuova capitale nazionale, dato che tutti passano da lì, neanche fosse Medjugorje. Tutti i casi dubbi in quarantena, paesi interi, ma sarebbero bastati 14 giorni e tutto sarebbe finito.
E invece no. Perché c’è stata una diaspora, molti abitanti di Codogno e altri paesi a rischio sono fuggiti al Sud, dove si trovano genitori o altri parenti, mettendo l’Italia a rischio pandemia. Quindi, un popolo che si comporta così può mai capire quando è ora di preoccuparsi lievemente per quella che di fatto è un’influenza, e quando farsi prendere dal terrore più nero?
A ogni modo, come altre influenze andrà via, e gli affari grossi li avranno fatti i supermercati, presi d’assalto e che hanno registrato vendite altissime, per non parlare dei dati d’acquisto dell’Amuchina o delle mascherine. In fin dei conti, non saprei dire se è maggiore il contagio della paura, di chi crede di morire fulminato se si ammala e va a fare la spesa nemmeno fossimo a Chernobyl nel 1986, o quello della stupidità, di chi fugge da zone in quarantena e si reca in luoghi non ancora infetti, ma senz’altro è minore il contagio del virus in sé.