domenica 6 novembre 2016

Un film all’Inferno

In foto, Tom Hanks si chiede: “In che caspio di film sto recitando? Ho letto il libro, la storia era diversa”

Ci sono alcuni autori di cui mi tengo al passo con la loro produzione. Uno di questi, come chi mi conosce sa, è Stephen King. Un altro è Dan Brown, quindi non potevo lasciarmi scappare, già appena uscito, nel 2013, la sua più recente fatica letteraria, “Inferno”. Il quarto libro con protagonista il professor Robert Langdon lo vede di nuovo in azione nella penisola italiana, segno tangibile, dopo “Angeli e Demoni”, ambientato a Roma, che qualcosa del nostro paese gli è rimasto dentro.
“Inferrno” lo reputo la sua opera migliore, pensiero condiviso anche da alcuni scrittori e critici letterari con i quali ho parlato a lettura conclusa. Ragion per cui mi sono fiondato anche al cinema, quando l’omonimo film è uscito.
Da qui in poi cominciano gli spoiler, ma potete procedere tranquillamente se avete letto il libro e non volete vedere il film, o viceversa.
L’idea di fondo del libro è stata totalmente snaturata nel lungometraggio con Tom Hanks nelle eterne vesti del professore alla ricerca di intrighi storici. Il virus a cui lavora Bertrand Zobrist, scienziato preoccupato dalla sovrappopolazione mondiale, è il nodo focale della storia, e sembra prevedere una nuova peste in grado di decimare il numero di abitanti della Terra. Alla fine, dopo ricerche, fughe e pericoli in agguato, si scopre che il virus è già in circolo e tutto il mondo ne è infetto. Ovviamente Langdon e gli altri si chiedono quanto tempo gli resti da vivere, e qui il colpo di genio: nessuno morirà, nemmeno una singola persona: il virus renderà sterile un terzo della popolazione mondiale, in maniera puramente random. In più, restando latente nei due terzi restanti, i portatori sani, farà “ammalare” un esponente su tre della generazione successiva. L’obiettivo, raggiunto, è un controllo delle nascite eterno che eviterà la sovrappopolazione.
Nel film, non riesco neanche a immaginare la ragione del cambiamento, si pensa a un virus della peste e infatti, alla fine, il virus è totalmente divers... Ah no, è della peste. Un brutto film, perché troppo lineare, anche per chi non ha letto il libro, mentre è orrendo per chi si è innamorato del romanzo.
Altro punto forte del libro, la totale assenza di cattivi puri. Tutti quelli che sparano, o sparano a salve o proteggono un bene più grande, e il lettore è portato a stare dalla parte di Zobrist per il nobile fine che si è imposto, sacrificando per esso la vita. Nel film, ovviamente i cattivi sono lo scienziato e i suoi aiutanti, desiderosi di sterminare la razza umana dalla faccia della Terra.
Sienna, o quelli del Consortium (l’agenzia dislocata sulla nave e che protegge Zobrist dietro lauto compenso), o addirittura Vayentha, passando dagli altri, vengono tutti riabilitati alla fine del romanzo, tanto che il virus viene lasciato libero non solo per l’impossibilità di fermarlo.
Il libro e il film mi hanno ricordato la storia del primo “Nightmare”, 1984, rispetto al suo remake, datato 2010. Nell’originale, si lascia pensare allo spettatore che l’iconico Freddy Krueger sia un molestatore di bambini e invece, alla fine, si scopre che li tortura perché attirato dalla loro purezza, in quanto è il Male puro e assoluto. Nel remake, si lascia ugualmente pensare allo spettatore che Krueger sia un pedofilo e invece, alla fine... Sì, è un pedofilo. Si sentiva il bisogno di snaturare “Nightmare” e, al contempo, si sentiva il bisogno che il regista Ron Howard mettesse le mani così su questo lavoro di Dan Brown?