mercoledì 22 gennaio 2020

The Spy, la leggenda di Eli Cohen approda su Netflix


Qualche settimana fa, spinto dal fatto che “The Spy”, come “Chernobyl”, è una serie autoconclusiva di poche puntate (5 per Chernobyl, 6 per The Spy), mi ci sono dedicato. La presenza di Sacha Baron Cohen nel ruolo della spia Eli Cohen ha avuto ulteriore peso: non solo ero curioso di vederlo in un ruolo serio, ma cerco di seguirlo dopo che mi ha sorpreso nel film “Il dittatore”, con alcuni scambi geniali sulla natura dell’uomo mascherati da comicità demenziale.
Il ritmo, come per Chernobyl (premiato recentemente con due Golden Globe, tra cui quello di miglior miniserie dell’anno), è velocissimo. L’israeliano Eli Cohen diventa una spia in terra siriana, dopo i primi contatti in Argentina per costruirsi una storia personale, avvicinando personalità in vista della Siria. Il nome sotto copertura, Kāmil Amīn Thābit, gli si cuce pian piano addosso come i vestiti firmati che gli procurano per entrare nelle grazie dei vertici politici e militari. Il fedele rapporto con la moglie lo porta a destare qualche sospetto, quando si tiene lontano da donne siriane per un tempo troppo lungo, sentendo la mancanza della donna che ama e delle due figlie. Nel momento in cui gli viene consigliato dal Mossad, l’agenzia di intelligence di Israele per cui lavora, di sposarsi, come Kāmil Amīn Thābit, con una donna del luogo, il confine tra la vita da spia e quella da Eli Cohen, marito e padre amorevole, si fa labile e contribuisce alla scoperta e alla cattura. Le doti attoriali di Sacha Baron Cohen, come peraltro mi aspettavo, sono completamente promosse, e continuerò a seguirlo nei prossimi film.
Scrivere che viene catturato non è uno spoiler: la prima puntata si apre con lui in carcere, in procinto di andare verso la pena capitale. In ogni caso la storia di Eli Cohen è ben nota e lo pone di fianco a spie del calibro di Mata Hari, che è stata attiva per molto meno tempo ed è stata catturata per un doppio gioco che stava per diventare triplo poco prima dell’arresto.
Eli Cohen, invece, fedele al Mossad e alla causa israeliana, si è fatto spazio dal 1961 al 1965 fino a diventare viceministro siriano, quindi con una mole di informazioni pressoché infinita da comunicare. Le conseguenze delle sue azioni vengono pagate ancora oggi da una Siria rivoltata come un calzino da Cohen, tanto che il governo locale ha voluto prendersi una rivincita tardiva e, a mio modo di vedere, abbastanza puerile: a nulla valsero le richieste di grazia da parte di vari capi di stato, e perfino da Papa Paolo VI, e venne impiccato nel maggio del 1965. Ebbene, da allora, 55 anni fa, il corpo non è mai stato restituito alla moglie o alle figlie, nonostante gli impegni, le promesse, e la dedizione alla causa della moglie, attiva ancor oggi in tal senso.
Alcune differenze tra realtà e serie TV distribuita da Netflix ovviamente non mancano, ma gli autori, il regista Gideon Raff e gli attori hanno a mio modo di vedere coperto i punti oscuri. Sono plausibili alcuni comportamenti di Eli Cohen nel suo appartamento e nella vita pubblica in Siria, le cui sfumature non arrivavano a Israele, interessata principalmente alle informazioni segrete. Ne esce un ritratto completo che val la pena vedere, anche se siete solo interessati alla serie TV e non a spulciare la storia vera.

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